Nel primo trimestre del 2025 il mercato immobiliare italiano ha mostrato segnali di forte ripresa, con investimenti nel comparto capital markets che hanno raggiunto circa 2,7 miliardi di euro, registrando una crescita del 47% rispetto agli 1,8 miliardi dello stesso periodo del 2024. È quanto emerge dall’ultima analisi di JLL, società leader nei servizi professionali e nella gestione degli investimenti per il real estate.
A sostenere la ripresa è stato anche il nuovo ciclo di riduzione dei tassi d’interesse, che ha favorito l’afflusso di capitali nonostante il persistere di uno scenario macroeconomico e geopolitico complesso.
Il mercato si presenta oggi ben bilanciato, con quattro settori chiave — Logistica, Uffici, Hospitality e Retail — che rappresentano oltre il 90% del volume totale degli investimenti. La quota restante è rappresentata principalmente dal segmento Living e da asset a uso misto, confermando la crescente diversificazione del mercato immobiliare italiano.
Logistica e Industrial: investimenti raddoppiati
Il comparto Industrial & Logistics ha chiuso il Q1 2025 con circa 670 milioni di euro di investimenti, raddoppiando i volumi del Q1 2024. A trainare il settore sono state alcune importanti operazioni, tra cui due portafogli da oltre 200 milioni ciascuno, che da soli hanno rappresentato circa il 70% dei volumi complessivi. I rendimenti netti prime si attestano al 5,5%, con aspettative di compressione nei prossimi mesi.
Office: Milano guida gli investimenti
Anche il settore Office ha registrato 670 milioni di euro, in crescita del 10% su base annua. Milano si conferma il centro di maggiore attrattività, soprattutto con operazioni core nel CBD Porta Nuova. Interessanti anche le transazioni legate a conversioni d’uso, che hanno rappresentato il 20% dei volumi. I rendimenti prime si sono compressi a 4,25% a Milano, mentre restano stabili al 4,75% a Roma.
Hospitality: boom di investimenti
Il settore Hospitality ha vissuto un trimestre di straordinaria crescita, con volumi quasi triplicati rispetto al 2024. Considerando anche le riconversioni da altre destinazioni d’uso, gli investimenti complessivi si attestano attorno ai 670 milioni di euro. Roma, Capri e Milano sono state protagoniste di importanti transazioni. L’interesse è spinto da performance operative solide e da piani di espansione delle principali catene alberghiere.
Retail: trainato dagli Outlet e dall’High Street
Gli investimenti nel Retail hanno raggiunto i 560 milioni di euro, di cui oltre il 60% generati da una singola operazione su un portafoglio di outlet per 350 milioni. Rilevanti anche due transazioni High Street a Milano e Firenze, entrambe effettuate da investitori privati. I rendimenti prime restano stabili: 4,25% per l’High Street, 6,50% per i Centri Commerciali.
Living: interesse crescente nonostante incertezze
Il comparto Living ha totalizzato investimenti per circa 120 milioni di euro, con la transazione più significativa nel settore PBSA a Bologna. Altri 50 milioni provengono da progetti di riconversione. I rendimenti prime si attestano al 4,75% per il Multifamily e al 5,25% per il PBSA, mentre restano stabili al 6% per l’Healthcare. Le incertezze normative a Milano frenano lo sviluppo, ma altre città come Roma, Firenze e Bologna guadagnano terreno.
Investitori privati sempre più attivi
Un dato rilevante riguarda la crescita del coinvolgimento degli investitori privati, che hanno partecipato a circa il 30% delle operazioni, rappresentando oltre il 20% dei volumi. Le asset class più gettonate sono Office, Hospitality e Retail.
Le prospettive secondo JLL
“Il Q1 2025 ha registrato un notevole aumento degli investimenti capital markets, specialmente nei settori Logistica, Hospitality, Uffici e Retail,” ha commentato Alberico Radice Fossati, Country Leader e Head of Capital Markets di JLL Italia. “Per i prossimi mesi prevediamo un’ulteriore espansione guidata dal calo dei tassi, con maggiore partecipazione di investitori internazionali e crescente interesse verso asset emergenti. Tuttavia, l’incertezza geopolitica e le sfide legate alle tariffe USA potrebbero impattare la fiducia degli investitori.”
L’installazione di una pergotenda spesso rientra nell’edilizia libera, ma potrebbe essere comunque richiesto il voto assembleare.
Strutture che potrebbero alterare il decoro architettonico dello stabile, o modificare l’accesso e l’utilizzo delle parti comuni, richiedono spesso una valutazione approfondita per i condomini. Per l’installazione di una pergotenda, serve ilpermesso in condominio? È questo uno dei dubbi più diffusi, soprattutto fra i condomini che possono approfittare di un giardino oppure di una terrazza privata. In linea generale, la predisposizione di una pergotenda può rientrare nell’edilizia libera, questo tuttavia non esclude eventuali autorizzazioni da parte dell’assemblea.
Rispettando alcune precise condizioni previste dalla legge, l’installazione di una pergotenda è un’attività che può rientrare perfettamente nell’edilizia libera, quindi senza la necessità di ottenere permessi specifici dal Comune. Tuttavia, così come già accennato in apertura, in ambito condominiale la predisposizione di questa struttura potrebbe essere più complessa e, in alcuni casi, anche soggetta ad autorizzazione da parte dell’assemblea.
È quindi utile sia ricordare quali siano i casi di legge che prevedono una libera installazione della pergotenda e, ancora, quando sia necessario vagliare il parere del condominio.
La pergotenda in edilizia libera
Innanzitutto, è indispensabile accertarsi dei casi che permettono di installare una pergotenda in edilizia libera. Come previsto dal Testo Unico dell’Edilizia, ovvero il D.P.R. 380/2001, aggiornato con il Decreto Salva Casa – il D.L. 69/2024, convertito nella Legge 105/2024 – la predisposizione di una pergotenda non richiede specifici permessi, come la SCIA o la CILA, in presenza di determinate caratteristiche tecniche. Il Decreto Salva Casa ha infatti ammesso in edilizia libera:
una struttura leggera e amovibile, realizzata quindi in materiali come l’acciaio, l’alluminio, il PVC o il legno, che non sia stabilmente fissata al suolo. L’utilizzo di viti e tasselli per affrancare la struttura a una parete esterna è generalmente ammesso, purché non renda la pergotenda stabilmente ancorata o comporti una trasformazione permanente del territorio;
una copertura retrattile, progettata per la protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, realizzata in tessuto, plastica o qualsiasi altro materiale rimovibile, affinché non vengano creati nuovi volumi o superfici utili;
una pergotenda che non necessiti di opere murarie o, ancora, non comporti modifiche strutturali significative all’edificio.
Naturalmente, le pergotende dovranno essere predisposte nel rispetto dei regolamenti e delle normative locali, ad esempio relative a vincoli storici o paesaggistici. Per evitare la creazione di nuove volumetrie stabili, una pergotenda chiusa a vetri non richiede permessi se utilizza vetrate panoramiche amovibili (VEPA), scorrevoli e completamente apribili, come previsto dal D.L. 115/2022, convertito nella Legge 142/2022. Le vetrate fisse, invece, possono configurare una nuova costruzione, richiedendo un permesso di costruire, in base al Testo Unico dell’Edilizia.
Quando serve l’autorizzazione del condominio
Similmente a quanto accade per i pergolati senza permesso, anche per l’installazione di una pergotenda in edilizia libera potrebbero essere necessarie delle specifiche autorizzazioni da parte del condominio.
Il primo passaggio consiste nella verifica di eventuali limitazioni previste da regolamento:
il regolamento condominiale può prevedere indicazioni su colori e materiali o, ancora, specifici divieti;
il regolamento contrattuale può includere limitazioni più rigide, vincolanti per tutti i condomini, anche sulle porzioni di proprietà esclusiva dello stabile.
Dopodiché, l’approvazione da parte dell’assemblea è solitamente necessaria quando:
si rischia di violare il decoro architettonico, la stabilità o la sicurezza dell’edificio, in base all’articolo 1120 del Codice Civile. Sebbene il Consiglio di Stato, con la sentenza 1777/2014, abbia specificato che le strutture leggere e amovibili – come appunto le pergotende – generalmente non compromettano il decoro architettonico data la loro natura temporanea, lo stesso concetto di decoro va valutato caso per caso, rendendo spesso necessario il parere dell’assemblea;
la pergotenda invade o utilizza le parti comuni, ad esempio con un fissaggio alle pareti perimetrali dello stabile. L’articolo 1102 del Codice Civile sottolinea che i condomini possono utilizzare le parti comuni senza alterarne la destinazione o limitare il diritto degli altri condomini di fare altrettanto, di conseguenza una pergotenda che altera tali diritti è soggetta ad autorizzazione assembleare.
Quando è necessario il voto assembleare, bisogna rispettare le maggioranze previste dall’articolo 1136 del Codice Civile. Per interventi minori, come l’installazione di una pergotenda che non altera significativamente l’edificio, è sufficiente la maggioranza degli intervenuti, purché rappresentino almeno 500 millesimi del valore dell’edificio. Per innovazioni più rilevanti, quali modifiche estetiche significative, potrebbe essere richiesta una maggioranza qualificata di due terzi dei millesimi.
Ancora, è sempre buona consuetudine vagliare l’approvazione informale da parte dell’assemblea di interventi che, in realtà, non la richiederebbero, così da evitare controversie future.
Quali sono le normative e i casi pratici per la pergotenda in edilizia libera
Per comprendere al meglio i campi di applicazione della pergotenda in edilizia libera, è utile fare riferimento ad alcuni casi pratici, in relazione alla normativa vigente. Così come già spiegato, la legge di riferimento è il Testo Unico dell’Edilizia, a seguito degli aggiornamenti del Decreto Salva Casa, così come tutte le norme del Codice Civile applicabili.
Di particolare rilievo è il Glossario Unico per l’Edilizia Libera, introdotto dal D.M. del 2 marzo 2018, che elenca le pergotende tra le opere che non richiedono titoli abilitativi, in presenza delle caratteristiche indicate. Il Decreto Salva Casaha ulteriormente chiarito che le pergotende, incluse quelle bioclimatiche con telo retrattile, rientrano in edilizia libera se non creano volumi chiusi.
La pergotenda in condominio al piano terra
Per l’installazione di una pergotenda in condominio al piano terra, ad esempio in un giardino di proprietà esclusiva di un condomino, non è necessario ottenere alcun permesso dal Comune, se la struttura è leggera, rimovibile, dotata di copertura retraibile e tale da non aumentare stabilmente la volumetria dell’immobile.
Rimarranno però da verificare:
le eventuali disposizioni da regolamento contrattuale o condominiale;
il rispetto dei vincoli di utilizzo delle parti comuni, ai sensi dell’articolo 1102 del Codice Civile;
il rispetto del decoro architettonico e della sicurezza dello stabile, in base all’articolo 1120 del Codice Civile.
Per questo tipo d’installazione, può sorgere il dubbio delle distanze legali per la pergotenda. Poiché si tratta di una struttura amovibile e temporanea, generalmente non è necessario rispettare le distanze minime tra costruzioni previste dall’articolo 873 del Codice Civile. Tuttavia, la giurisprudenza valuta caso per caso, considerando anche strutture leggere, ma stabilmente ancorate, come possibilmente soggette al rispetto delle distanze.
Quando la pergotenda è sul terrazzo
Altro caso particolarmente comune è quello dell’installazione di una pergotenda sul terrazzo. A questo scopo, bisognerà distinguere tra:
la pergotenda sul terrazzo privato in condominio, dalle regole sovrapponibili ai casi visti in precedenza. Si tratta di una costruzione che non richiede permessi, se in edilizia libera, tuttavia bisognerà sempre rispettare il decoro architettonico ed eventuali limitazioni da regolamento condominiale;
la pergotenda sul terrazzo condominiale, concesso in uso al singolo condomino, richiede l’approvazione dell’assemblea poiché si tratta di una parte comune dello stabile, in base ai già citati articoli 1102 e 1120 del Codice Civile. Dovrà quindi rispettare il decoro architettonico, non pregiudicare la sicurezza e la stabilità dello stabile, né limitare i diritti degli altri condomini. Le maggioranze richieste, in base all’articolo 1136 sempre del Codice Civile, sono solitamente pari alla metà degli intervenuti, purché rappresentino almeno 500 millesimi.
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È però doveroso specificare che, se il regolamento contrattuale vieta esplicitamente la predisposizione di simili strutture nelle aree comuni del condominio, servirà una modifica dello stesso regolamento, ottenendo l’unanimità dei condomini. Ancora, se la pergotenda sul terrazzo è chiusa, in edilizia libera sono consentite solo vetrate rimovibili e apribili, come spiegato nei precedenti paragrafi.
La pergotenda sotto al balcone
Infine, l’installazione di una pergotenda sotto al balcone, ad esempio in uno spazio coperto dal terrazzo del condomino al piano superiore, rappresenta una soluzione pratica per creare un’area protetta dal sole e dagli agenti climatici. Eppure, bisogna condurre un’analisi attenta, caso per caso, per comprendere se siano necessarie autorizzazioni.
Anche in questo caso si può rientrare nell’edilizia libera, sempre predisponendo una struttura leggera, amovibile, con copertura retrattile e priva di opere murarie. Tuttavia, potrebbe rendersi necessaria l’autorizzazione dell’assemblea se la struttura modifica il decoro dello stabile o l’estetica del condominio, ad esempio perché visibile dalla facciata. Come già chiarito, secondo il Consiglio di Stato una simile struttura non influisce sul decoro, se ben integrata e non fissa, tuttavia la valutazione è caso per caso. Ancora, se sono necessari interventi sulla soletta sovrastante, potrebbe essere necessario il consenso del relativo condomino.
Un altro aspetto da non sottovalutare è il diritto di veduta in appiombo, in base all’articolo 907 del Codice Civile. Una pergotenda sotto al balcone, che ostruisce la visuale diretta verso il basso da parte del condominio del piano superiore, potrebbe essere infatti contestata. Per evitare dispute, è quindi utile allertare sia l’amministratore che i condomini coinvolti e, se necessario, procedere a un’approvazione informale da parte dell’assemblea.
La trasformazione del tetto in terrazzo comporta l’ottenimento di precisi permessi e, in condominio, l’autorizzazione assembleare
Tra i progetti ambiziosi per la propria casa c’è sicuramente quello di trasformare il tetto in un terrazzo:oltre a offrire un nuovo spazio aperto per approfittare della bella stagione, può influire sul valore dell’immobile. Eppure, si tratta di un intervento che richiede una particolare attenzione, non solo ai costi, ma anche ai permessi necessari. Bisogna infatti non solo ottenere i necessari titoli abilitativi da parte del Comune, ma anche specifiche autorizzazioni dall’assemblea se si risiede in contesti condominiali. Ma cosa sapere?
Prima di addentrarsi nelle questioni relative ai titoli abilitativi e alle autorizzazioni di condominio, è innanzitutto necessario comprendere la differenza tra terrazzo e lastrico solare. Per quanto entrambi fungano da copertura dell’edificio, gli interventi da realizzare e i relativi permessi potrebbero differire leggermente.
Nel linguaggio comune i due termini sono spesso confusi, tuttavia:
il terrazzo è una superficie piana, destinata all’uso abitativo o ricreativo e, di sua progettazione, è pensata per essere calpestabile e dotata di parapetti di sicurezza. Si parla più propriamente di tetto a terrazza praticabile, quando è presente nell’edificio già dalla sua costruzione o, ancora, a seguito della trasformazione dello stesso tetto;
il lastrico solare è la semplice copertura piana di un edificio, alternativa al più classico tetto spiovente, che di solito non nasce esplicitamente per l’uso diretto come spazio vivibile. Se semplicemente progettato come copertura dell’edificio dagli agenti atmosferici, si parla più propriamente di tetto a terrazza non praticabile. Tuttavia, con i necessari interventi di trasformazione e adeguamento, può diventare praticabile.
Mentre un terrazzo già progettato per questa funzione può essere immediatamente utilizzabile, il lastrico solare può spesso essere sottoposto ad alcuni specifici interventi, come l’installazione dei necessari parapetti o la modifica della pavimentazione, in base alle normative urbanistiche e paesaggistiche vigenti.
Che permessi ci vogliono per fare un terrazzo
Chi vuole trasformare un tetto in un terrazzo si trova a dover affrontare un intervento edilizio rilevante, che richiede l’ottenimento di specifici permessi, in relazione a quanto previsto dal D.P.R. 380/2001, ovvero il Testo Unico dell’Edilizia. È però necessario distinguere tra due situazioni decisamente diverse: gli interventi di trasformazione su una casa di proprietà e, invece, quelli relativi a un contesto condominiale.
Creare una terrazza sul tetto in una casa di proprietà
Per chi può approfittare di una casa di proprietà, la predisposizione di una terrazza sul tetto è soggetta all’ottenimento di alcuni specifici permessi, a seconda dell’intervento da realizzare. In linea generale, potrebbe essere richiesta la SCIA – ovvero la Segnalazione Certificata di Inizio Attività – oppure il permesso a costruire.
La SCIA serve per gli interventi di manutenzione straordinaria o ristrutturazione edilizia leggera, che modificano la struttura dell’edificio senza una significativa alterazione del volume, della sagoma e della destinazione d’uso. Può essere quindi sufficiente, informandosi preventivamente presso il Comune, per gli interventi su un lastrico solare già praticabile, che richiedono solo adeguamenti, quali la posa della pavimentazione antiscivolo o l’impermeabilizzazione e il posizionamento, purché non venga:
cambiata la destinazione d’uso del tetto;
alterata la sagoma dell’edificio o creati nuovi volumi.
Per la trasformazione di un tetto in terrazza, sono però rari i casi in cui la SCIA è sufficiente. Il permesso a costruire è il titolo abilitativo necessario più frequente, indispensabile per interventi più invasivi, come la trasformazione di un tetto non praticabile, che comportano:
il cambio di destinazione d’uso del tetto, ad esempio da semplice copertura a spazio fruibile;
modifiche significative alla sagome o al volume dell’edificio, come quando si decide di trasformare un sottotetto in terrazzo, ad esempio predisponendo verande o ambienti chiusi.
In entrambi i casi, bisognerà comunque procedere a verifica strutturale – ovvero il sopralluogo da parte di un tecnico abilitato, che possa certificare la possibilità di sostenere il peso aggiuntivo che la trasformazione di un tetto a terrazzo comporta – e vagliare eventuali autorizzazioni paesaggistiche, se l’immobile si trova in un’area vincolata. Come facile intuire, lo stesso processo vale anche per le pertinenze dell’abitazione principale, ad esempio quando si vuole convertire il tetto del garage in terrazzo.
La trasformazione del tetto condominiale
Ma cosa succede se il tetto che si desidera trasformare in terrazzo appartiene a un condominio? Oltre alle autorizzazioni già elencate, ovvero la SCIA o il permesso a costruire, bisogna vagliare anche le relative autorizzazioni in sede di assemblea.
Innanzitutto, va ricordato che lo stesso tetto – o, eventualmente, il lastrico solare – rappresenta una parte comune dello stabile, in base all’articolo 1117 del Codice Civile. Di conseguenza, bisognerà procedere:
verificando il regolamento, che potrebbe includere dei limiti o dei divieti specifici. In particolare, se di natura contrattuale, potrebbe essere estremamente vincolante per i condomini;
ottenendo una delibera condominiale per la trasformazione. Trattandosi di un’innovazione ai sensi dell’articolo 1120 del Codice Civile, sarà necessario ottenere una maggioranza qualificata degli intervenuti che rappresentino almeno i due terzi del valore dell’edificio, in prima o seconda convocazione, come previsto dagli articoli 1120 e 1136 del Codice Civile. Se, tuttavia, la trasformazione è vietata da regolamento contrattuale, quest’ultimo dovrà essere modificato con un voto unanime;
verificando la fattibilità del progetto con un tecnico abilitato;
richiedendo gli opportuni permessi in Comune, come la SCIA o il permesso a costruire, a seconda dell’intervento da realizzare.
Naturalmente, l’intervento non dovrà ledere la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell’edificio.
Da tetto a terrazzo a uso esclusivo
In condominio, tuttavia, ci si può trovare nella situazione in cui il tetto da trasformare in terrazzo sia a uso esclusivo, pur restando parte comune. Ad esempio, i residenti dell’ultimo piano potrebbero voler ricavare un terrazzo a tasca sul tetto. Come si procede, in questi casi?
Su questo fronte, emergono due principali orientamenti della giurisprudenza sulle maggioranze da ottenere in assemblea:
secondo una prima interpretazione – come nel caso della sentenza 19281/2009 della Cassazione – la trasformazione di un tetto condominiale in terrazzo a uso esclusivo può rappresentare un’appropriazione di una parte comune, che viene sottratta al godimento degli altri condomini, pur continuando a svolgere la funziona di copertura. Per questo, è necessario il consenso unanime in assemblea, poiché ne viene alterata la destinazione d’uso comune. La valutazione, tuttavia, è caso per caso;
un secondo orientamento – ad esempio, con la sentenza della Cassazione 2126/2021 – prevede invece la possibilità di trasformazione del tetto a uso esclusivo, purché ne venga preservata la funzione di copertura e di protezione delle strutture sottostanti. Può essere quindi considerato come un uso più intenso della cosa comune, in base all’articolo 1102 del Codice Civile, perciò potrebbe bastare la maggioranza degli intervenuti in assemblea, purché rappresentino i due terzi del valore dell’edificio, ovvero almeno 667 millesimi.
Anche in questo caso, in presenza di divieti a livello di regolamento contrattuale, l’eventuale modifica richiede l’unanimità. Ottenuto il voto favorevole in assemblea, bisognerà sempre procedere a valutazione tecnica del progetto e all’ottenimento dei relativi titoli abilitativi in comune.
Quanto costa trasformare un tetto in terrazzo
Analizzate le relative autorizzazioni necessarie, quanto costa trasformare un tetto in terrazzo? Non esistono precise cifre di riferimento, poiché molto dipende dalla natura del progetto e dai prezzi del luogo in cui sorge l’immobile. Indicativamente:
per le case di proprietà, i prezzi possono oscillare tra i 20.000 e i 50.000 euro, includendo l’impermeabilizzazione e la pavimentazione, i parapetti, i rinforzi strutturali e l’ottenimento dei relativi permessi;
per i condomini i costi sono generalmente più alti, tra 30.000 e 70.000 euro, sempre comprendendo le necessità elencate in precedenza.
Per i contesti dove la nuova terrazza verrà utilizzata dall’intero condominio, è utile specificare che i costi di trasformazione sono a carico dei condomini che approvano l’intervento, trattandosi di un’innovazione voluttuaria, come previsto dall’articolo 1121 del Codice Civile. I condomini dissenzienti possono esimersi dal contribuire, ma hanno il diritto di partecipare successivamente, sostenendo una quota di spesa proporzionale.
Se l’innovazione è però deliberata con la maggioranza prevista dall’articolo 1120 del Codice Civile, e non è considerata voluttuaria, o se tutti i condomini accettano di contribuire, i costi possono essere suddivisi fra tutti in base ai millesimi di proprietà, come previsto dall’articolo 1123 del Codice Civile.
Per i tetti a uso esclusivo, i costi di trasformazione sono a carico del singolo condomino che beneficia del terrazzo, con eventuali compensazioni economiche per gli altri condomini a causa della perdita del godimento comune, se negoziate in assemblea. Tuttavia, se l’intervento migliora la funzione di copertura del tetto, ad esempio con una nuova impermeabilizzazione, le relative spese possono essere suddivise in base all’articolo 1126 del Codice Civile:
1/3 a carico del condomino che ne detiene l’uso esclusivo;
2/3 terzi a carico degli altri condomini coperti dal lastrico, in base ai millesimi di proprietà, poiché appunto beneficiano della copertura.
In ogni caso, per valutare correttamente la spesa è utile affidarsi a professionisti qualificati e, per altre idee per la terrazza sul tetto, chiedere sempre un parere preliminare all’amministratore del condominio.
La legge di Bilancio 2025 ha raddoppiato il termine per vendere la prima casa senza perdere l’agevolazione per il nuovo acquisto
La legge di Bilancio 2025 ha introdotto un’interessante novità per quanto riguarda i tempi di vendita della prima casa. È stato infatti esteso da uno a due anni il periodo di tempo per alienare (vendere o donare) gli immobili preposseduti che sono stati già acquistati con i benefici fiscali. Adesso, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’estensione del predetto limite temporale non è riservata agli atti di acquisto di immobili stipulati a far data dal 1° gennaio 2025 e che lo stesso si applica anche nel caso in cui, al 31 dicembre 2024, non sia ancora decorso il termine di un anno, entro cui il contribuente è tenuto ad alienare l’immobile preposseduto.
Nello specifico, con la risposta n. 127 del 5 maggio 2025, l’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto ricordato che l’agevolazione prima casa è disciplinata dalla Nota II bis posta in calce all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Tur. Secondo quanto previsto da tale articolo, agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione di categoria catastale diversa da A/1, A/8, A/9 e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse viene applicata l’aliquota del 2 per cento a patto che:
l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza […];
nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo […].
L’Agenzia delle Entrate ha poi spiegato che “il successivo comma 4 bis, come modificato dall’articolo 1, comma 116, della legge 30 dicembre 2024 n. 207 (legge di Bilancio 2025), stabilisce che ‘l’aliquota del 2 per cento si applica anche agli atti di acquisto per i quali l’acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest’ultimo immobile sia alienato entro due anni dalla data dell’atto. In mancanza di detta alienazione, all’atto di cui al periodo precedente si applica quanto previsto dal comma 4’”.
Il comma 116 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2025 ha dunque raddoppiato il termine per vendere la prima casa senza perdere l’agevolazione per il nuovo acquisto, “in quanto il contribuente resta momentaneamente titolare di due immobili, acquistati entrambi con il beneficio in esame”.
Per quanto riguarda nello specifico la decorrenza della nuova disposizione, con la risposta fornita nel corso dell’8° Forum dei Commercialisti, tenutosi il 27 gennaio 2024 e pubblicata su Italia Oggi il 28 gennaio 2025, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’articolo 1, comma 116, della legge di Bilancio 2025 non prevede che l’estensione del predetto limite temporale sia riservata agli atti di acquisto di immobili stipulati a far data dal 1° gennaio 2025 e che lo stesso si applica anche nel caso in cui, al 31 dicembre 2024, non sia ancora decorso il termine di un anno, entro cui il contribuente è tenuto ad alienare l’immobile preposseduto.
I canoni di affitto in Italia hanno registrato un aumento del 2,3% nel mese di aprile, secondo l’ultimo report elaborato dall’Ufficio Studi di idealista, il portale immobiliare leader per lo sviluppo tecnologico. Crescono le locazioni anche su base annuale (+7,8%), portando il valore medio delle locazioni nazionali a 14,5 euro al metro quadro, il prezzo più alto raggiunto dalla prima rilevazione di idealista nel 2012.
Regioni
Sul versante delle regioni, gli aumenti coinvolgono quasi tutte le aree, ad accezione di Molise (-2,8%), Basilicata (-0,9%) e Friuli-Venezia Giulia (-0,2%), i cui canoni subiscono dei ribassi nel mese di aprile. All’opposto, i maggiori aumenti riguardano la Valle d’Aosta (6,6%), Calabria (3,9%) e Liguria (3,7%). Anche il Lazio, con un incremento del 2,9%, supera la crescita media nazionale del 2,3%. Gi aumenti dei canoni di affitto si concentrano in altre 12 regioni con variazioni comprese tra il 2,2% dell’Abruzzo e lo 0,6% dell’Umbria.
Canoni medi di affitto per regione ad aprile 2025
Regione
Canone medio (euro/mq)
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
21,1
Lombardia
19,7
Toscana
17,9
Lazio
15,6
Trentino-Alto Adige
15,0
Emilia-Romagna
14,9
Veneto
12,4
Liguria
12,4
Sardegna
11,7
Friuli-Venezia Giulia
11,0
Campania
10,9
Piemonte
10,2
Marche
9,3
Puglia
9,1
Abruzzo
8,6
Sicilia
8,1
Umbria
8,0
Calabria
7,8
Basilicata
6,9
Molise
6,6
La Valle d’Aosta rimane la regione più costosa per gli inquilini, con una media di 21,1 euro al metro quadro al mese, seguita dalla Lombardia (19,7 euro/m2) e dalla Toscana (17,9 euro/m2). Anche Lazio (15,6 euro/m2), Trentino-Alto Adige (15 euro/m2) ed Emilia-Romagna (14,9 euro/m2) presentano prezzi superiori alla media nazionale di 14,5 euro mensili. Mentre, il Molise rimane la regione più economica per gli inquilini, con un costo medio di 6,6 euro al metro quadro, preceduta dalla Basilicata (6,9 euro/m2) e dalla Calabria (7,9 euro/m2).
Province
Il 73% delle province mostra un andamento positivo con 77 aree in crescita, trainate dagli aumenti di Forlì-Cesena (13,1%), Vercelli (13%), Gorizia (9,8%). Valori in aumento si rilevano nelle principali province italiane quali Roma (2,7%), Firenze (1,8%), Napoli e Venezia (entrambe in crescita dell’1,7%), Torino (0,3%) e Milano (0,2%). Restano stabili, rispetto allo scorso mese, i canoni di Reggio Emilia e Bologna. Affitti al ribasso in 23 province, con i cali maggiori che si concentrano a Nuoro (-9,8%), Brindisi (-6%), Trapani (-5,8%), Pordenone (-5,7%).
I canoni medi di affitto per provincia ad aprile 2025
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Provincia
Canone medio (euro/mq)
Belluno
32,2
Lucca
30,1
Rimini
26,9
Milano
22,6
Aosta
21,1
Firenze
19,1
Grosseto
19,0
Forlì-Cesena
18,2
Sondrio
18,1
Roma
17,1
Bolzano-Bozen
17,0
Venezia
16,8
Bologna
16,7
Ravenna
16,1
Como
15,5
Livorno
15,4
Sassari
15,0
Trento
14,0
Imperia
13,6
Savona
13,5
Sul fronte dei prezzi, Belluno risulta essere la provincia con gli affitti più salati, con una media di 32,2 euro al metro quadro, seguita da Lucca (30,1 euro/m2), Rimini (26,9 euro/m2) e Milano (22,6 euro/m2). Canoni di affitto superiori alla media nazionale di 14,5 euro mensili anche in provincia di Firenze (19,1euro/m2), Roma (17,1 euro/m2), Venezia (16,8 euro/m2), e Bologna (16,7 euro/m2). Al contrario, in fondo al ranking, Enna è la provincia più economica per gli inquilini con 5,3 euro mensili, preceduta da Avellino (5,9 euro/m2) e Reggio Calabria (6 euro/m2).
Capoluoghi
A livello cittadino, si è registrato un andamento positivo dei prezzi, ma con una tendenza contrastata, con aumenti in 48 capoluoghi, ribassi in altri 36, e 6 città (Como, Parma, Ancona, Bergamo, Caserta e Campobasso) che fanno rilevare una stabilità di prezzi, rispetto a marzo.
I principali incrementi di aprile si sono verificati a Forlì (5,3%), Palermo (5,2%), e Brescia (4,6%), mentre i cali più impattatati sono stati osservati a Brindisi (-10,7%), Carrara (-6,5%) e Ascoli Piceno (-6,2%).
Canoni medi di affitto per capoluogo ad aprile 2025
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Capoluogo
Canone medio (euro/mq)
Milano
23,6
Firenze
21,7
Venezia
21,1
Roma
18,7
Bologna
18,0
Como
18,0
Napoli
15,7
Bolzano-Bozen
15,0
Monza
14,5
Cagliari
14,1
Padova
13,5
Pisa
13,3
Rimini
13,0
Modena
12,9
Trento
12,8
Torino
12,7
Bergamo
12,5
Parma
12,5
Verona
12,5
Bari
12,3
Per quanto riguarda le grandi piazze cittadine, oltre a Palermo, si osservano aumenti a Torino (1,8%), Genova (1,5%), Roma (0,7%) e Firenze (0,5%). In lieve crescita anche Milano (0,1%); mentre sono in calo Bologna (-0,5%), Venezia (-0,4%) e Napoli (-0,3%).
Milano si conferma ad aprile il capoluogo più costoso, con un canone medio di 23,6 euro al metro quadro. Al secondo posto della classifica dei prezzi di affitto di idealista, si trova Firenze con 21,7 euro al metro quadro, seguita da Venezia con 21,1 euro al metro quadro, e poi Roma e Bologna con 18,7 euro e 18,6 euro al metro quadro, rispettivamente. Agli antipodi, le locazioni più economiche si riscontrano a Caltanissetta (4,6 euro/m2), Reggio Calabria (5,4 euro/m2) e Vibo Valentia (5,4 euro/m2).
L’indice dei prezzi degli immobili idealista Per la realizzazione dell’indice dei prezzi degli immobili di idealista vengono analizzati i prezzi di offerta basati sui metri quadri costruiti (a corpo) pubblicati dagli inserzionisti della piattaforma. Le inserzioni atipiche e le inserzioni con prezzi fuori mercato vengono eliminate dalle statistiche. Includiamo la tipologia di case unifamiliari (ville) e scartiamo immobili di qualsiasi tipologia che non hanno ottenuto interazioni da parte degli utenti per molto tempo. I dati finali vengono generati utilizzando la mediana di tutte le inserzioni valide in ciascun mercato.
Lo stock di abitazioni in vendita risulta essere sostanzialmente stabile nel corso del primo trimestre 2025, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo l’ultimo report di idealista, portale immobiliare leader per lo sviluppo tecnologico in Italia. Inoltre, rispetto al trimestre precedente, il quarto del 2024, si osserva una ripresa, con un incremento del 3% dell’offerta di case in vendita sul portale.
A livello cittadino, emerge un forte calo dell’offerta residenziale in 59 dei capoluoghi monitorati da idealista, con le maggiori riduzioni che riguardano Firenze (-27%), Livorno (-26%), Cuneo (-25%), Gorizia (-24%), Lecco (-22%) e Venezia (-20%). Lo stock di abitazioni in vendita risulta essere in calo non solo a Firenze e Venezia ma anche negli altri principali mercati cittadini come Roma (-14%), Catania (-11%), Milano (-6%), Cagliari e Palermo (entrambe in calo dell’1%).
Stock di case in vendita per capoluogo
I dati si riferiscono al primo trimestre 2025
Pagina 1 di 6
Capoluoghi
Variazione Stock IQ 24-25
Agrigento
−8%
Alessandria
−27%
Ancona
−9%
Aosta
−2%
Arezzo
9%
Ascoli Piceno
−7%
Asti
−4%
Avellino
24%
Bari
−2%
Barletta
40%
Belluno
2%
Benevento
17%
Bergamo
−8%
Biella
−11%
Bologna
−6%
Bolzano-Bozen
9%
Brescia
3%
Brindisi
13%
Cagliari
−1%
Caltanissetta
15%
Rispetto ad un anno fa, a Pisa, Caserta e Nuoro, lo stock, in linea con l’andamento nazionale, si è mantenuto stabile. Mentre, incrementi dell’offerta residenziale hanno toccato 47 capoluoghi. I maggiori aumenti dello stock riguardano, infatti, Barletta (40%), Cosenza (32%), Enna (26%), Avellino e Campobasso (24% per entrambe le città). Aumenta l’offerta di case in vendita, rispetto al primo trimestre dello scorso anno, anche a Napoli (12%), Genova (5%) e Torino (1%).
Stock provinciale in crescita
Sul versante provinciale, in controtendenza, emerge una prevalenza di aree (60) il cui stock abitativo è in aumento. A trainare gli incrementi dell’offerta troviamo Foggia (21%), seguita da Campobasso col 16%, Avellino (15%) e Brindisi (14%). Lo stock di case in vendita risulta crescere anche nelle province di Napoli (13%), Torino (12%), Palermo e Verona (entrambe in salita del 5%). Genova, Crotone, Latina, Pesaro Urbino, Cagliari e Ascoli Piceno mantengono la loro offerta di case in vendita stabile rispetto ad un anno fa, in linea con la tendenza nazionale.
Stock di case in vendita per provincia
I dati si riferiscono al primo trimestre 2025
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Province
Variazione Stock IQ 24-25
Agrigento
10%
Alessandria
−9%
Ancona
−2%
Aosta
1%
Arezzo
−1%
Ascoli Piceno
0%
Asti
4%
Avellino
15%
Bari
6%
Barletta-Andria-Trani
11%
Belluno
−6%
Benevento
14%
Bergamo
−2%
Biella
−5%
Bologna
−1%
Bolzano-Bozen
5%
Brescia
5%
Brindisi
16%
Cagliari
0%
Caltanissetta
2%
In 43 province si evince una riduzione dello stock, con i cali più forti che riguardano Venezia (-17%), Firenze (-15%), Gorizia (-11%) e Lodi (-10%). I ribassi dell’offerta di abitazioni in vendita riguardano anche le province di Roma (-7%) e Milano (-4%).
Metodologia
I dati sono stati raccolti e analizzati da idealista/data, la proptech di idealista attiva in Spagna, Italia e Portogallo dedicata a fornire informazioni mirate a un pubblico professionale per assisterlo nel processo decisionale strategico. Utilizzando tutti i parametri del database di idealista specifici per ciascun paese, insieme ad altre fonti di dati pubbliche e private, questa piattaforma offre una gamma completa di servizi, tra cui valutazione, investimento, acquisizione e analisi di mercato.
Un immobile con degli abusi edilizi può essere venduto purché l’acquirente venga reso edotto dei vizi presenti
La normativa attualmente in vigore non fornisce delle indicazioni chiare e trasparenti sulla vendita in caso di irregolarità urbanistiche. Mancando delle indicazioni chiare, si può vendere una casa con abusi edilizi? Nel caso in cui le irregolarità fossero sanabili, la vendita non è esplicitamente vietata, ma è necessario che l’acquirente sia opportunamente informato: in caso contrario si configurerebbe il reato di raggiro. In altre parole, il venditore deve informare l’acquirente della situazione dell’immobile.
Cos’è un abuso edilizio? E soprattutto quando si concretizza? Prima di tutto è necessario fornire delle risposte a questi due dubbi. Generalmente sotto il cappello di abuso edilizio si includono una serie di illeciti, tra i quali ci sono:
l’esecuzione di interventi di ristrutturazione o costruzione senza che siano state rilasciate le dovute autorizzazioni e le abilitazioni amministrative;
l’esecuzione i lavori che presentano delle difformità rispetto alle concessioni rilasciate dal Comune o registrate al catasto;
la realizzazione di varianti essenziali rispetto al titolo edilizio.
Nella maggior parte dei casi, gli abusi edilizi si vengono a configurare nel momento in cui le opere vengono realizzate prima che sia stata chiesta la licenza edilizia. O quando sono stati eseguiti in difformità del progetto che è stato depositato in Comune.
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Cosa succede se si vende una casa con un abuso edilizio
Un immobile può essere venduto anche quando sono presenti delle irregolarità sanabili, purché l’acquirente sia a conoscenza dell’abuso edilizio. Questo è un passaggio molto importante in tutta l’operazione: è necessario giocare la partita con la massima trasparenza e, per rendere il tutto più chiaro, è opportuno indicare la presenza dell’abuso edilizio sia nel preliminare di compravendita dell’immobile che nel successivo rogito.
In altre parole, il contratto di compravendita risulta essere valido nel caso in cui il venditore rende edotto l’acquirente delle irregolarità e la comunicazione viene formalizzata nel compromesso e nel successivo rogito. Una volta che l’acquirente è diventato consapevole delle eventuali irregolarità edilizie, non può contestare alcunché al venditore o chiedere, in un secondo momento, un risarcimento.
Quali rischi si corrono a non informare l’acquirente
I problemi, purtroppo, sorgono nel caso in cui il compratore non dovesse farsi parte diligente nell’operazione.
L’acquirente può impugnare l’atto di vendita entro 10 anni dalla scoperta dell’irregolarità e si potrà rivolgere a un tribunale per chiedere lo scioglimento del contratto di vendita. Avrà addirittura la possibilità di chiedere il risarcimento del danno subito dall’operazione.
L’acquirente ha la possibilità di procedere giudizialmente nei confronti del venditore dopo che è stato stipulato il rogito, anche se prima della firma abbia effettuato una serie di sopralluoghi nel corso dei quali sia venuto a conoscenza dell’abuso edilizio.
Questo è un punto fondamentale per la successiva tutela del venditore: non è sufficiente che l’acquirente sia semplicemente a conoscenza dell’irregolarità. È necessaria l’esplicita presa d’atto: solo questa permette di esonerare il venditore dalla responsabilità di aver informato alla perfezione l’acquirente.
Una casa con abuso edilizio non sanabile non si può vendere
Gli abusi edilizi non sanabili sono un’ostacolo insormontabile alla vendita di un immobile. I problemi maggiori, in questo caso, scaturirebbero a seguito dell’operazione, quando all’acquirente e al venditore potrebbero arrivare una serie di sanzioni, alcune delle quali hanno delle conseguenze decisamente pesanti.
A differenza delle irregolarità che sono sanabili e che, eventualmente, se gestite correttamente dalle parti possono essere messe a posto in un secondo momento, quelle non sanabili possono portare alla demolizione delle opere abusive. Oltre alle eventuali multe che vengono irrogate, in questo caso è anche necessario affrontare i costi per abbattere quanto realizzato abusivamente.
Si può vendere una casa senza concessione edilizia?
Un immobile privo di concessione edilizia non può essere venduto, perché è abusivo. Quando è presente questo tipo di irregolarità la compravendita non può essere effettuata per i seguenti motivi:
costruire senza aver ottenuto la relativa concessione edilizia costituisce un abuso edilizio, perché sono state violate le norme urbanistiche;
le autorità competenti potrebbero sanzionare le irregolarità con dei provvedimenti realmente pesanti, che possono arrivare alla demolizione del manufatto.
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Quali sono i rischi di acquistare degli immobili irregolari
Le irregolarità lievi sanabili o gli abusi edilizi più gravi hanno un impatto significativo sul valore di mercato di un determinato immobiliare. Quindi chi acquista, in linea teorica, farebbe un buon affare, perché paga di meno l’immobile.
Ma questo risparmio ha un costo: ad abbassare i prezzi delle proprietà irregolari sono i timori che hanno proprio i potenziali acquirenti, che devono affrontare le difficoltà e i costi necessari per sanare l’immobile o demolire le parti abusive. Per compensare questi rischi, il venditore è quasi sempre costretto a ridurre il prezzo.
La presenza di irregolarità, inoltre, può limitare l’accesso ai finanziamenti. Gli istituti di credito difficilmente rilasciano un prestito ipotecario, rendendo alquanto complicato riuscire a comprare una casa con un abuso edilizio quando si deve chiedere un mutuo.
Un passo importante, la regolarizzazione
Anche quando un abuso edilizio è stato commesso dal precedente proprietario, la strada migliore per vendere un immobile con dei problemi è sempre quella di regolarizzare la situazione prima della vendita.
Questo permette di rendere agevole l’operazione e ottenere un prezzo di vendita migliore. Prima di iniziare qualsiasi pratica, comunque, è opportuno rivolgersi a dei consulenti, in modo da valutare i costi che si devono affrontare.
Ultime novità sul bonus infissi 2025 per cambiare finestre, porte e serramenti: ecco chi può fruire degli sconti
La legge di Bilancio di quest’anno e, ancor prima, il decreto legge del 28 dicembre 2023, hanno cambiato il quadro dei bonus infissi 2025, stabilendo la fine dell’agevolazione per l’abbattimento delle barriere architettoniche del 75% per interventi relativi al cambio di finestre, porte e serramenti.
Tuttavia, le alternative non mancano. Il bonus casa 2025, utile anche per sostituire infissi, consente di ottenere un rimborso, sotto forma di detrazioni, del 50% per le spese sostenute per i lavori nella prima casa, e del 36% per la seconda casa. Il massimale di spesa è di 96.000 euro per ambedue le soluzioni. Ecco, dunque, qual è il quadro delle nuove agevolazioni legate al bonus infissi 2025.
Nel bonus infissi per l’anno 2025 non figura più l’agevolazione del 75% per il cambio di finestre e serramenti in combinazione agli incentivi per l’abbattimento delle barriere architettoniche. In realtà, il decreto legge del 28 dicembre 2023 aveva eliminato la possibilità di fruire di questa agevolazione per gli infissi (al pari di porte, sanitari e pavimenti) già a partire dal 1° gennaio 2024.
L’incentivo è tornato ad agevolare le spese originarie. Come nel 2024, anche nel 2025 infatti si possono incentivare le spese strettamente inerenti alla rimozione delle barriere architettoniche verticali e all’installazione di scale, piattaforme elevatrici, servoscale e ascensori. Tutte queste spese continuano a essere scontate del 75% mediante detrazione fiscale.
Quali sono le detrazioni fiscali per gli infissi nel 2025
Chi volesse effettuare lavori su un proprio immobile per il cambio di serramenti e finestre dovrà prendere al volo le opportunità del bonus infissi 2025. Con questa espressione si intendono fondamentalmente due agevolazioni.
Le novità del bonus casa e dell’ecobonus per il 2025 richiamano un quadro notevolmente modificato rispetto all’utilizzo degli incentivi degli scorsi anni, sia per cambi e interventi sulla prima casa che per lavori analoghi su una seconda abitazione. Lo sconto di quest’anno è del 50% e si calcola sulle spese per la sostituzione di porte, finestre e serramenti.
Le caratteristiche di questi bonus, le condizioni di accesso, i limiti di spesa, le percentuali di agevolazione, le scadenze e gli adempimenti burocratici sono stabiliti principalmente dalla legge di Bilancio 2025.
Bonus infissi 2025, ecco come funziona
Nello specifico, il bonus ristrutturazione (o casa) 2025 consente di cambiare gli infissi e i serramenti sia della prima casa che della seconda casa. L’incentivo può essere utilizzato per lavori rientranti nella manutenzione straordinaria, o per assicurare il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia dell’immobile.
La legge di Bilancio 2025 stabilisce che, fino al prossimo 31 dicembre, il bonus infissi sulla prima casa abbia una percentuale di detrazione fiscale Irpef del 50% su un massimale di spesa di 96.000 euro. La detrazione deve essere distribuita in 10 quote annuali di pari importo.
L’applicazione del bonus infissi 2025 sulla seconda casa prevede un’aliquota più bassa, al 36%, sempre su una spesa massima di 96.000 euro. Tuttavia, è necessario fare in fretta. Infatti, le percentuali del bonus ristrutturazione scenderanno dal 1° gennaio 2026 al 36% sulla prima casa e al 30% sulla seconda casa, per poi calare, dal 1° gennaio 2028, al 30%, indistintamente per lavori sulla prima o sulla seconda casa.
Inoltre, a partire da questa data, la spesa massima ammissibile si dimezzerà da 96.000 a 48.000 euro. In definitiva, scenderanno sia l’aliquota che il massimale e il 30% dovrà essere calcolato su un tetto di spesa di 48.000 euro.
ANNO
IMMOBILE
DETRAZIONE BONUS CASA
DETRAZIONE ECOBONUS
2024
PRIMA CASA
50% su 96.000 euro
50% su 60.000 euro
SECONDA CASA
50% su 96.000 euro
50% su 60.000 euro
2025
PRIMA CASA
50% su 96.000 euro
50% su 120.000 euro
SECONDA CASA
36% su 96.000 euro
36% su 120.000 euro
2026
PRIMA CASA
36% su 96.000 euro
36% su 120.000 euro
SECONDA CASA
30% su 96.000 euro
30% su 120.000 euro
2027
PRIMA CASA
36% su 96.000 euro
36% su 120.000 euro
SECONDA CASA
30% su 96.000 euro
30% su 120.000 euro
2028
PRIMA CASA
30% su 48.000 euro
30% su 60.000 euro
SECONDA CASA
30% su 48.000 euro
30% su 60.000 euro
Chi può utilizzare il bonus casa per il cambio finestre?
L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti circa i soggetti che hanno accesso al bonus infissi 2025. Infatti, sono ammessi:
i proprietari e i nudi proprietari;
i titolari di un diritto reale di godimento come uso, usufrutto, abitazione o superficie;
gli inquilini e i comodatari;
i soci di cooperative a proprietà divisa e indivisa; gli imprenditori individuali;
le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice;
le società equiparate e le imprese individuali;
i familiari conviventi e i conviventi di fatto;
i coniugi separati;
i futuri acquirenti.
Bonus infissi 2025 senza ristrutturazione: ecco l’ecobonus
Il bonus infissi 2025 può essere utilizzato, per il cambio di finestre e serramenti, anche senza ristrutturazione, grazie alle agevolazioni dell’ecobonus. Si tratta, anche in questo caso, di una detrazione fiscale da spalmare per un periodo di 10 anni sulla spesa sostenuta per migliorare l’efficienza energetica degli edifici.
Per ragioni di carattere fiscale, il perimetro dei potenziali beneficiari di questa misura è più ampio rispetto al bonus casa. Infatti, sono ammessi all’agevolazione sia i soggetti Irpef che quelli Ires.
Pertanto, in assenza di una ristrutturazione, si può optare per questo bonus che consente:
di portare a termine interventi di miglioramento energetico dell’immobile, grazie alla sostituzione di infissi e serramenti, anche senza titolo abitativo;
di effettuare manutenzioni straordinarie;
di svolgere interventi di restauro e di risanamento conservativo;
di effettuare ristrutturazioni edilizie.
Il bonus infissi 2025 senza ristrutturazione sulla prima casa ammette un massimale di spesa di 120.000 euro. Si può detrarre, pertanto, una somma fino a 60.000 euro. Nel caso di seconde case la percentuale scende al 36%, con una spesa massima agevolabile di 43.200 euro.
L’utilizzo del bonus infissi 2025 non prevede la possibilità di applicare lo sconto in fattura. Sia nel caso di ristrutturazione che di ecobonus, pertanto, si applica la detrazione fiscale sull’Irpef (bonus casa ed ecobonus) o anche sull’Ires (per il solo ecobonus).
Bonus infissi 2025, quali adempimenti sono previsti
Oltre ai requisiti di accesso, la disciplina sui bonus edilizi fornisce importanti spiegazioni circa gli adempimenti da rispettare per la corretta detrazione delle spese sostenute. Un primo aspetto sul bonus infissi 2025 e su come richiederlo riguarda le modalità di pagamento dei bonus casa 2025.
Le spese devono essere sostenute mediante bonifico parlante che deve riportare la causale specifica relativa all’agevolazione edilizia. È importante, dunque, che nella causale si faccia riferimento alla ristrutturazione ai fini della detrazione fiscale del 50%, secondo quanto prevede l’articolo 16-bis del Dpr 917 del 1986.
Nello specifico, il bonifico parlante è obbligatorio per le persone fisiche e per gli amministratori di condomini. Per il solo ecobonus e per i lavori iniziati in data successiva al 6 ottobre 2020, è necessario riportare anche il numero e la data della fattura oggetto di pagamento.
L’utilizzo dell’ecobonus implica l’invio della comunicazione della scheda tecnica all’Enea entro il termine di 90 giorni dal giorno di conclusione dei lavori. Inoltre, l’ecobonus richiede l’asseverazione dei requisiti tecnici degli interventi eseguiti e di congruità delle spese, oltre all’APE finale.
Per lavori successivi al 6 ottobre 2020 occorre, infine, il rispetto dei requisiti di risparmio energetico ai sensi di quanto prevede il decreto del 6 agosto 2020 dell’allora Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). Per questo obiettivo, può tornare utile anche il Rapporto sulle detrazioni fiscali legate ai bonus casa redatto dall’Enea.
Bonus casa 2025 o ecobonus: quale conviene?
Un’ultima considerazione si può fare su quale bonus infissi sia maggiormente conveniente nel 2025. Il bonus ristrutturazione consente di cambiare gli infissi e i serramenti senza troppi adempimenti burocratici. Se non si devono effettuare altri interventi di ristrutturazione, il bonus casa può rappresentare l’agevolazione più indicata.
Tale considerazione si rafforza anche in virtù del fatto che, in caso di altri lavori di ristrutturazione, il massimale di spesa verrebbe eroso dalla spesa per il cambio di serramenti ed eventualmente dalla spesa agevolata dal bonus infissi per la sostituzione dei vetri delle finestre. In questa ipotesi, pertanto, è preferibile ricorrere all’ecobonus che, a parità di percentuale di agevolazione, consente di mantenere intatto il plafond di spesa per le sole ristrutturazioni mediante il bonus casa.
Il consiglio è, in definitiva, quello di valutare attentamente come integrare i due bonus nel caso di fruizione per il cambio degli infissi e per le ristrutturazioni, soprattutto considerando gli aspetti burocratici e il massimale di spesa ammesso a detrazione fiscale.
Ora lo sforzo economico medio delle famiglie italiane è del 18% in media per l’acquisto e del 30% per l’affitto
Negli ultimi cinque anni, il sogno della casa è diventato sempre più distante per le famiglie italiane. I prezzi di vendita e i canoni di affitto sono cresciuti più rapidamente dei salari, facendo aumentare sensibilmente lo sforzo economico richiesto per ottenere un’abitazione: oggi serve il 6% in più rispetto al 2020 per affittare o acquistare casa, secondo l’analisi di idealista, portale immobiliare leader per sviluppo tecnologico in Italia.
Dall’ultimo trimestre 2020 allo stesso periodo del 2024, il tasso di sforzo – l’indicatore che misura il peso della spesa per la casa sul reddito disponibile – è salito dal 12% al 18% per l’acquisto e dal 24% al 30% per l’affitto.
“Sono le famiglie con redditi più bassi o a reddito fisso (come i lavoratori dipendenti) a subire maggiormente questo peggioramento. Negli ultimi anni, i salari in Italia hanno perso potere d’acquisto, non riuscendo a tenere il passo con l’aumento dei costi abitativi. Di conseguenza, per molti nuclei familiari, sia l’affitto che la rata del mutuo rappresentano una quota sempre più alta del reddito mensile. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle grandi città e nelle aree dove il mercato immobiliare è più attivo e competitivo”, dichiara Vincenzo De Tommaso, Responsabile dell’Ufficio Studi di idealista.
Sforzo per l’acquisto in aumento
Negli ultimi anni, i salari in Italia non sono riusciti a tenere il passo con l’inflazione, causando una significativa perdita del potere d’acquisto per molte famiglie. Nel settore immobiliare, questa erosione del potere d’acquisto ha contribuito all’aumento del tasso di sforzo, ovvero la quota di reddito necessaria per sostenere le spese abitative. Nonostante una recente diminuzione dei tassi di interesse sui mutui, il tasso di sforzo medio per l’acquisto di una casa in Italia si attesta ora al 18% contro il 12% del quarti trimestre 2020, con picchi significativi in alcune città.
L’evoluzione del tasso di sforzo per acquistare casa
4° trim 2020 vs 4° trim 2024
Pagina 1 di 6
Capoluoghi
Tasso di sforzo 4q 2020
Tasso di sforzo 4q 2024
Agrigento
8%
10%
Alessandria
6%
9%
Ancona
8%
13%
Aosta
12%
19%
Arezzo
12%
18%
Ascoli Piceno
10%
14%
Asti
7%
10%
Avellino
8%
12%
Bari
13%
22%
Barletta
13%
24%
Belluno
6%
17%
Benevento
7%
12%
Bergamo
11%
20%
Biella
3%
6%
Bologna
15%
25%
Bolzano-Bozen
21%
35%
Brescia
11%
21%
Brindisi
9%
15%
Cagliari
15%
24%
Caltanissetta
7%
8%
Il capoluogo dove acquistare casa è diventato sempre più impegnativo negli ultimi 5 anni è Bolzano, con un balzo del 14% rispetto al 2020. Seguono Rimini, Napoli e Verbania (tutte su del 13%), Firenze, Venezia, Milano e Monza hanno visto un incremento del peso per l’acquisto pari all’11%, mentre Roma registra un +9%.
Palermo e altri 13 capoluoghi mostrano una crescita in linea con la media nazionale (6%), mentre 54 città si mantengono sotto questo livello, con aumenti che vanno dal 5% di Lecco al 2% di Caltanissetta. Nessuna città ha registrato una diminuzione o una stabilità del tasso di sforzo per l’acquisto.
Le città con i tassi di sforzo più elevati sono Venezia (37%), Bolzano (35%) e Milano (33%), seguite da Rimini e Napoli (entrambe al 32%), Firenze (30%), mentre Roma si ferma al 27%. Queste città evidenziano come l’accesso alla proprietà immobiliare sia particolarmente gravoso in determinate aree del Paese. Al contrario, in altre città, come Biella e Caltanissetta, il tasso di sforzo è significativamente più basso, attestandosi all’8%, indicando una maggiore accessibilità al mercato immobiliare locale.
Affitti: lo sforzo cresce ovunque, Firenze la peggiore
Negli ultimi cinque anni, il mercato delle locazioni in Italia ha subito una trasformazione significativa, caratterizzata da una marcata riduzione dell’offerta di affitti a lungo termine e da un conseguente aumento dei canoni. Questo cambiamento è attribuibile principalmente alla crescita degli affitti brevi turistici e dei contratti transitori, che hanno sottratto disponibilità al mercato tradizionale.
L’evoluzione del tasso di sforzo per affittare casa
4° trim 2020 vs 4° trim 2024
Pagina 1 di 6
Capoluoghi
Tasso di sforzo 4q 2020
Tasso di sforzo 4q 2024
Agrigento
16%
16%
Alessandria
15%
17%
Ancona
17%
21%
Aosta
20%
19%
Arezzo
17%
20%
Ascoli Piceno
16%
17%
Asti
15%
15%
Avellino
14%
16%
Bari
24%
27%
Barletta
25%
30%
Belluno
13%
11%
Benevento
15%
17%
Bergamo
19%
28%
Biella
12%
14%
Bologna
24%
31%
Bolzano-Bozen
27%
29%
Brescia
20%
29%
Brindisi
24%
25%
Cagliari
24%
29%
Caltanissetta
17%
15%
In questo contesto, Firenze emerge come la città in cui l’impegno economico richiesto a un nucleo familiare per affittare un immobile è aumentato maggiormente rispetto al 2020, con un incremento del 21%, passando dal 27% al 48% del reddito destinato all’affitto. Seguono Como con un aumento del 14% (dal 32% al 46%), Napoli e Roma entrambe con un incremento del 13%, raggiungendo rispettivamente il 47% e il 41% del reddito familiare da destinare al pagamento del canone, ben oltre la soglia di sostenibilità indicata dagli esperti. Altri aumenti significativi si registrano a Vicenza (12%) e Venezia (11%). Milano segna un incremento a doppia cifra del 10% in cinque anni, con un tasso di sforzo che tocca ora il 40% del reddito familiare.
Parma, Verona, Lodi, Lecce e Grosseto si allineano alla media nazionale del 6%. In 17 capoluoghi lo sforzo per l’affitto è rimasto stabile, mentre in 10 è addirittura diminuito – con Oristano a guidare il trend inverso (-6%).
L’organismo guidato da Lagarde ha deciso un nuovo taglio di 25 punti base
Nel clima di incertezza generale, con la crescita economica “minacciata” dai dazi imposti dal presidente Trump, la BCE ha deciso di proseguire la sua politica di riduzione del costo del denaro. Nell’ultima riunione di giovedì 17 aprile il massimo organismo monetario dell’Unione, come si aspettavano i principali analisti del settore, ha deciso un taglio dei tassi di interesse di 0,25 punti base, portandoli al 2,25%. Vediamo quali saranno gli effetti sui mutui a tasso fisso e variabile di questa nuova riduzione secondo le simulazioni di idealista/mutui.
Con questa nuova riduzione di 25 punti base, i tassi di interesse della BCE saranno fissati a partire dal 23 aprile 2025, ai seguenti valori, almeno fino al 5 giugno, data della prossima riunione della BCE.
Il tasso di intesse sui depositi presso la banca centrale è ridotto al 2,25%.
Il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale è sceso al 2,4%.
ll tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale scende al 2,65%.
Nel comunicato in cui l’organismo guidato da Christine Lagarde spiega le ragioni che hanno spinto il Consiglio direttivo ad adottare questa decisione si legge: “La decisione di ridurre il tasso sui depositi presso la banca centrale, mediante il quale il Consiglio direttivo orienta la politica monetaria, scaturisce dalla valutazione aggiornata delle prospettive di inflazione, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria.
Il processo disinflazionistico è ben avviato. L’andamento dell’inflazione ha continuato a rispecchiare le attese dei nostri esperti; a marzo sono diminuite sia l’inflazione complessiva sia quella di fondo. Anche l’inflazione dei servizi ha segnato una marcata attenuazione negli ultimi mesi. Le misure dell’inflazione di fondo suggeriscono perlopiù che l’inflazione si attesterà stabilmente intorno all’obiettivo del 2% a medio termine perseguito dal Consiglio direttivo.
La dinamica delle retribuzioni si sta moderando e i profitti stanno parzialmente assorbendo l’impatto sull’inflazione di una crescita salariale tuttora elevata. L’economia dell’area dell’euro ha acquisito una certa capacità di tenuta agli shock mondiali, ma le prospettive di espansione si sono deteriorate a causa delle crescenti tensioni commerciali. È probabile che la maggiore incertezza riduca la fiducia di famiglie e imprese e che la risposta avversa e volatile dei mercati alle tensioni commerciali determini un inasprimento delle condizioni di finanziamento. Tali fattori possono gravare ulteriormente sulle prospettive economiche per l’area dell’euro.
Il Consiglio direttivo è determinato ad assicurare che l’inflazione si stabilizzi durevolmente sul suo obiettivo del 2% a medio termine. Soprattutto nelle attuali condizioni caratterizzate da eccezionale incertezza, l’orientamento di politica monetaria adeguato sarà definito seguendo un approccio guidato dai dati, in base al quale le decisioni vengono adottate di volta in volta a ogni riunione.
In particolare, le decisioni del Consiglio direttivo sui tassi di interesse saranno basate sulla sua valutazione delle prospettive di inflazione, considerati i nuovi dati economici e finanziari, della dinamica dell’inflazione di fondo e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria, senza vincolarsi a un particolare percorso dei tassi”.
Il commento di idealista/mutui
Secondo Fabio Femiani, responsabile di idealista/mutui per l’Italia: “La Banca Centrale Europea non sembra aver cambiato la sua tabella di marcia in risposta al nuovo terremoto commerciale scatenato dai dazi annunciati da Donald Trump. Il Consiglio direttivo ha optato per un taglio dei tassi dello 0,25%, anticipando un possibile rallentamento dell’attività economica nell’Eurozona.
Nel breve periodo, la decisione è accolta positivamente da chi ha un mutuo a tasso variabile o sta pensando di accenderne uno nuovo. Tuttavia, si dovrà monitorare attentamente la reazione degli istituti di credito, che potrebbero aumentare i costi dei prestiti e irrigidire i criteri di concessione, in previsione di una possibile frenata dell’economia.
Nel medio termine resta da capire quale direzione prenderà l’inflazione: da una parte potrebbe salire a causa dell’effetto dei dazi, dall’altra potrebbe essere spinta al ribasso da un calo dei consumi”.
Come saranno i tassi dei mutui adesso: le previsioni
Analizzando gli effetti del nuovo taglio dei tassi di interesse sui mutui, secondo Femiani, “Quanto ai mutui a tasso variabile – secondo Femiani – possiamo affermare che, come spesso accade, il mercato ha già anticipato e assorbito la decisione della BCE. Le rate dei mutui variabili in questi mesi sono tornate a scendere. Rispetto all’ultimo taglio, oggi per ripagare lo stesso mutuo si risparmiano oltre 40 euro.
Ovviamente il taglio di 0,25% è a valere sul tasso BCE, ma se comunque immaginassimo un abbassamento di “pari passo” anche dell’Euribor, la rata potrebbe scendere di ulteriori 30 euro circa. Paragonato allo stesso mese del 2024 i titolari del medesimo finanziamento a tasso variabile, oggi potrebbero trovarsi nelle tasche quasi 200 euro in più al mese.
Discorso inverso va fatto invece sull’IRS di lunga durata: con la discesa impetuosa dell’euribor, fisiologicamente l’indice di riferimento del tasso fisso è salito: l’IRS a 30y ha acquisito almeno 40 bp rispetto la chiusura del 2024. Non una buonissima notizia per la maggioranza degli utenti che hanno in programma di finanziare l’acquisto della propria casa con un mutuo a tasso fisso. Oggi la stessa rata risulta più cara di oltre 50 euro, che potrebbero arrivare a 60, se l’indice rintuzzasse ulteriormente al rialzo contestualmente al nuovo taglio dell’euribor (nella simulazione di idealista/mutui, abbiamo ipotizzato una lieve crescita di 7 bp)”.
Simulazione di rata per un mutuo da 200.000 euro a 30 anni
Spread 0,50% per tasso fisso e 0.75% per tasso variabile
Periodo
Euribor 1 mese
Spread
Rata Variabile (in euro)
IRS 30 anni
Spread
Rata Fissa (in euro)
Gen, 2024
3,86%
0,75%
1.026,00
2,50%
0,50%
843
Mar, 2024
3,85%
0,75%
1.025,00
2,45%
0,50%
837
Apr, 2024
3,81%
0,75%
1.020,00
2,50%
0,50%
843
Giu, 2024
3,65%
0,75%
1.001,00
2,48%
0,50%
841
Lug, 2024
3,60%
0,75%
995,00
2,47%
0,50%
839
Sett, 2024
3,51%
0,75%
985,00
2,28%
0,50%
819
Ott, 2024
2,96%
0,75%
925,00
2,02%
0,50%
792
Dic, 2024
2,88%
0,75%
912,00
1,98%
0,50%
788
Gen, 2025
2,73%
0,75%
887,00
2,29%
0,50%
820
Apr, 2025
2,00%
0,75%
816,00
2,55%
0,50%
848
Quando si riunirà la BCE?
Le prossime riunioni della BCE, durante le quali potrà essere deciso un nuovo taglio dei tassi di interesse, sono le seguenti: