I quartieri più richiesti per affittare casa in Italia nel primo trimestre 2025

La top 10 dei quartieri più ricercati da chi vuole affittare casa in Italia evidenzia una nutrita rappresentanza della provincia. Nel primo trimestre 2025, infatti, le prime tre posizioni del ranking delle zone più domandate per le locazioni sono occupate da distretti che si trovano a Padova, Brescia e Guidonia Montecelio (provincia di Roma). 

La Capitale, inoltre, è l’unica grande città presente nelle prime 10 posizioni. A rivelarlo è un report di idealista/data, che ha misurato la pressione della domanda sull’offerta in ogni area dello Stivale per il mercato residenziale della locazione.

  1. Top 10 dei quartieri più richiesti per affittare casa in Italia
  2. La situazione nel resto d’Italia
  3. I quartieri più cari per affittare casa in Italia

Top 10 dei quartieri più richiesti per affittare casa in Italia

Il report di idealista/data è stato implementato tramite l’indice di domanda relativa, un indicatore che sintetizza la pressione della domanda sull’offerta in ogni area d’Italia per il segmento delle case in affitto. L’indicatore si basa sul numero di contatti (contatti tramite e-mail e condivisioni) ricevuti per annuncio. 

Come già anticipato, il podio dei quartieri più richiesti per affittare casa in Italia nel primo trimestre 2025 non ospita nessun distretto dei principali mercati immobiliari italiani. Nello specifico, il gradino più alto è occupato da Camin a Padova, che totalizza un indice di domanda relativa di 126. Seguono Fornaci-Chiesanuova-Villaggio Sereno a Brescia (96) e Setteville a Guidonia Montecelio (in provincia di Roma) e il centro di Scandicci (in provincia di Firenze), entrambi i distretti hanno un indice di domanda relativa di 91.

I quartieri più richiesti d’Italia per affittare casa

I dati si riferiscono al primo trimestre 2025

 Pagina 1 di 53  

ComuneQuartiereIndice di domanda relativa
PadovaCamin126
BresciaFornaci-Chiesanuova-Villaggio Sereno96
Guidonia MontecelioSetteville91
ScandicciCentro91
VeronaBorgo Roma-Cadidavid77
RomaCasilino-Centocelle76
MonzaSan Fruttuoso57
BergamoVillaggio degli Sposi-Grumello del Piano52
RomaRoma est-Autostrade51
RomaGarbatella-Ostiense48
Sesto FiorentinoSesto Città47
PaviaPoliclinico-Ponte di Pietra-Riviera46
PordenoneTorre46
PratoGalciana-Maliseti-Vergaio46
RomaAniene-Collatino45
RoveretoMarco45
RomaNomentano-Tiburtino45
RiminiTorre Pedrera-Viserba-Riminifiera44
RomaAppio Latino44
RoveretoLizzana-Zona Industriale44

Il primo posto, come detto, incorona il distretto di Camin a Padova, abbastanza fuori dal centro della città, probabile segnale di una saturazione dell’offerta di alloggi universitari. Completano le prime posizioni altri quartieri di Comuni come Brescia, Guidonia Montecelio e Scandicci. Il comune denominatore, in questo caso, è la prossimità a tre delle principali città italiane, rispettivamente: Milano, Roma e Firenze.

Un elemento, questo, che suggerisce un’ulteriore considerazione, visto che stiamo parlando di tre delle città più care per media di canoni di locazioni mensili (Milano è il capoluogo più caro con una media di 23,6 euro/mq, segue Firenze con 21,7 euro/mq, mentre Roma è quarta alle spalle di Venezia con un canone medio di 18,7 euro/mq). È lecito immaginare che, visti i prezzi proibitivi in città, dopo l’hinterland ora le ricerche di una casa in affitto si stiano spostando anche in provincia.

Tanto è vero che, in top 10, troviamo anche il distretto di San Fruttuoso a Monza (57 di indice di domanda relativa) e Villaggio degli Sposi-Grumello del Piano a Bergamo (52), altri due centri alle porte di Milano (a Monza, tra l’altro, è previsto il prolungamento della metro lilla, M5). Tra i quartieri più domandati ce ne sono anche tre romani: Casilino-Centocelle (76), Roma est-Autostrade (51) e Garbatella-Ostiense (48). Completa le prime 10 posizioni, al quarto posto, Borgo Roma-Cadidavid a Verona (77).

La situazione nel resto d’Italia

Per trovare il primo quartiere milanese del ranking bisogna scendere addirittura fino alla posizione 191, dove troviamo Baggio, che totalizza un indice di domanda relativa di 26, a ulteriore dimostrazione di come il livello dei canoni in città venga ormai percepito come proibitivo. Mentre il primo distretto fiorentino in classifica è Rifredi (39). 

Il quartiere più domandato per gli affitti a Bologna, invece, è Navile-Corticella (40). A Venezia, il distretto che attira più interesse è Lido-Malamocco-Pellestrina (19). Spostandoci a Sud dello Stivale, a Bari il quartiere più domandato è Marconi-San Girolamo-Fesca, mentre a Napoli è Fuorigrotta-Bagnoli (entrambe le zone totalizzano un indice di domanda relativa di 15). Stessa performance anche per Cruillas-Resuttana-San Lorenzo a Palermo.

I quartieri più cari per affittare casa in Italia

Spostando il focus sul costo dei canoni di locazione, gli affitti più cari si trovano in prossimità delle località turistiche più esclusive, con una fortissima rappresentanza della Versilia e della Sardegna. Complice la scarsa offerta, affittare una casa nel distretto di Area Santa Teresina ad Arzachena costa 9.000 euro al mese (ma totalizza un indice di domanda relativa di appena 2).

Decisamente poco accessibile anche il distretto di Rocchette-Roccamare-Riva del Sole a Castiglione della Pescaia (6.575 euro/mq) e il Centro di Forte dei Marmi (con una richiesta media di 6.436 al mese). Il primo quartiere di una città che troviamo in questo specifico ranking, non a caso, è il Centro di Milano (3.399 euro al mese).

Fonte: Idealista.it

Bonus mobili 2025, ecco come richiedere la detrazione fiscale del 50%

La nuova legge di Bilancio ha prorogato il bonus mobili per tutto il 2025, lasciando invariati, rispetto al 2024, i limiti di spesa e il perimetro di detrazione fiscale. L’incentivo si concretizza in una riduzione dell’Irpef da spalmare per un periodo di 10 anni per agevolare l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, destinati all’arredamento di immobili oggetto di interventi di ristrutturazione.

Il limite di spesa per l’arredamento è fissato in 5.000 euro, con percentuale di detrazione del 50%. Ecco, quindi, chi può richiedere e come il bonus mobili 2025 fruendo di un’agevolazione utile anche ai fini della risparmio energetico.

  1. Come funziona il bonus mobili nel 2025
  2. Quali sono i requisiti per ottenere il bonus mobili
  3. Quali mobili si possono acquistare con il bonus 2025
  4. Bonus mobili 2025, come richiederlo 

Come funziona il bonus mobili nel 2025

Grazie alla proroga della nuova legge di Bilancio, è possibile fruire, fino al 31 dicembre prossimo, del bonus mobili 2025, l’agevolazione che consente di ottenere la detrazione fiscale su un limite massimo di spesa confermato, anche per quest’anno, a 5.000 euro.

Non si tratta di una novità nel panorama dei bonus casa del 2025, ma occorre ricordare che, nel 2023, questa misura incentivava un limite più ampio di spesa, pari a 8.000 euro, mentre nei primi anni di applicazione si poteva arrivare a 16.000 euro (2021) e a 10.000 euro (2022). Nella spesa si possono includere i costi di trasporto e montaggio.

scelta del tessuto nel negozio di mobili

Freepik

Bonus mobili 2025, si può richiedere senza ristrutturazione

La condizione essenziale per fruire del bonus mobili ed elettrodomestici è quella di aver fatto svolgere interventi edilizi di ristrutturazione nell’immobile oggetto di arredo. 

In particolare, il comma 2, dell’articolo 16, del decreto legge 63 del 2013 prevede che i contribuenti che fruiscono della detrazione Irpef per lavori di recupero del patrimonio edilizio possano beneficiare di un’ulteriore detrazione fiscale del 50% per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici.

Quali interventi di ristrutturazione sono validi per il bonus mobili

Non è possibile, quindi, fruire del bonus mobili senza la ristrutturazione di un edificio che poi verrà arredato proprio grazie a questo incentivo. Le tipologie di interventi edilizi ammessi alla detrazione fiscale comprendono:

  • la manutenzione ordinaria sulle parti comuni di edifici residenziali;
  • la manutenzione straordinaria, il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia delle parti comuni di un edificio residenziali e delle singole unità immobiliari residenziali;
  • la ricostruzione o il ripristino dell’immobile danneggiato da eventi calamitosi;
  • la ristrutturazione di interi fabbricati da parte di imprese o cooperative che provvedano, nel termine di sei mesi dalla fine degli interventi, a vendere o ad assegnare l’immobile;
  • i lavori di manutenzione straordinaria finalizzati all’efficientamento energetico.

Il bonus mobili si può usare sulla prima o seconda casa?

A proposito di ristrutturazione, si ricorda che il bonus casa prevede la detrazione fiscale del 50% in 10 anni per interventi edilizi sulla prima casa (36% su seconde case e altre tipologie di abitazioni) e fino a un limite massimo di spesa pari a 96.000 euro nel 2025; di seguito, fino al 31 dicembre 2027, le agevolazioni si abbasseranno, rispettivamente, al 36% e al 30%, con limite di spesa invariato. 

Quali sono i requisiti per ottenere il bonus mobili

Dal punto di vista dei requisiti, si può affermare pertanto che il bonus mobili 2025 non ne richieda di specifici, salvo proprio lo svolgimento di interventi edilizi agevolati dal bonus casa.

Tutti i lavori di cui sopra sono utili per fruire del bonus mobili 2025 a prescindere da quale importo sia stato sostenuto per gli interventi, mentre lo stesso decreto legge 63 del 2013 non fa distinzione tra lavori su una prima casa o su una seconda casa. Inoltre, ciascun contribuente che esegua interventi di ristrutturazione su più unità immobiliari ha diritto a fruire dell’agevolazione più volte. 

Serve l’ISEE per il bonus mobili 2025? 

L’importo massimo del bonus mobili 2025, pari a 5.000 euro di detrazione fiscale, si riferisce a ciascuna unità abitativa interessata dai lavori. Infine, la legge di Bilancio non stabilisce un particolare limite di ISEE per la richiesta del bonus mobili 2025.

Come faccio a sapere se ho diritto al bonus mobili 2025 

L’Agenzia delle entrate fornisce importanti chiarimenti interpretativi su come utilizzare l’agevolazione sull’arredamento. Più nello specifico, è importante prestare attenzione alla data di inizio dei lavori di ristrutturazione che deve essere sempre anteriore a quella nella quale si acquistino dei mobili. Inversamente, non occorre che le spese di ristrutturazione siano state sostenute prima di quelle necessarie all’arredo dell’abitazione.

La norma prescrive che i lavori edilizi debbano essere iniziati a partire dal 1° gennaiodell’anno che precede quello dell’acquisto dei mobili. Per richiedere il bonus mobili e grandi elettrodomestici nel 2025 è necessario, pertanto, che i lavori di ristrutturazione edilizia siano iniziati non prima del 1° gennaio 2024.

Bonus mobili 2025, quando servono CILA e SCIA

L’Agenzia delle entrate spiega come fare a dimostrare l’anteriorità dei lavori edilizi rispetto all’acquisto dei mobili ai fini della richiesta dell’agevolazione. Si può provare tale data da eventuali comunicazioni o abilitazioni di tipo amministrativo. 

Rientra in questa documentazione la comunicazione preventiva di inizio dei lavori (CILA o SCIA) contenente la data di avvio degli interventi, qualora richiesta. Si ricorda, inoltre, che per chiedere la detrazione fiscale al 50% occorre conservare una copia di tutta la documentazione presentata e approvata dall’ufficio tecnico del Comune di riferimento.

In tutti i casi in cui non siano richiesti i documenti di inizio dei lavori, si può sottoscrivere una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’articolo 47 del DPR 445 del 2000.

Quali mobili si possono acquistare con il bonus 2025

Un elenco esaustivo sugli acquisti in arredo che si possono effettuare con questa agevolazione ci viene fornito dall’Agenzia delle entrate. Si può richiedere il bonus sia per mobili nuovi che per grandi elettrodomestici. Rientrano tra i primi:

  • gli armadi e i letti;
  • le cassettiere, le librerie e le scrivanie;
  • i tavoli e le sedie;
  • i comodini;
  • divani, le poltrone e i materassi;
  • le credenze;
  • gli apparecchi di illuminazione se costituiscono un necessario complemento di arredo dell’immobile.

Tra gli elettrodomestici, ai fini del risparmio energetico, la norma richiede la classe energetica minima pari ad:

  • A per i forni;
  • E per lavasciuga, lavastoviglie e lavatrici;
  • F per congelatori e frigoriferi.

Se gli elettrodomestici sono sprovvisti di etichetta energetica, il bonus può essere richiesto se l’esposizione dell’etichetta stessa non è obbligatoria per il modello richiesto. Pertanto, l’elenco degli elettrodomestici ammessi all’agevolazione comprende lavatrici, asciugatrici, congelatori, frigoriferi, forni a microonde, stufe elettriche, radiatori elettrici, ventilatori e piastre riscaldanti.

Bonus mobili 2025, quando si presenta la comunicazione all’ENEA

È importante sottolineare che gli interventi che producono il risparmio energetico e l’utilizzo di fonti di energia alternativa, nel caso di fruizione di detrazioni fiscali, producono specifici obblighi di trasmissione. 

Pertanto, la comunicazione telematica Enea si rende obbligatoria per utilizzi del bonus mobili 2025 nel caso specifico di acquisto di elettrodomestici. L’Agenzia delle entrate ha stabilito che l’eventuale ritardo o mancato invio della comunicazione non comporta la perdita dell’agevolazione (Risoluzione n. 46/E del 18 aprile 2019).

Quali adempimenti per la proroga del bonus mobili nel 2025

Come per gli interventi di ristrutturazione, l’acquisto di mobili ed elettrodomestici e la richiesta del bonus comportano una serie di adempimenti, a iniziare dalle modalità di pagamento. 

Da questo punto di vista si può affermare che la proroga della misura anche al 2025 ha lasciato invariate le modalità di spesa. La norma prevede, infatti, che i pagamentidebbano essere tacciabili e regolati da bonifico postale o bancario, da carta di credito o di debito. 

Non sono accettati il contante e gli assegni bancari. Sono ammessi, invece, gli acquisti a rate. Inoltre, non è richiesto espressamente il bonifico parlante, vincolante invece per il pagamento dei lavori di ristrutturazione.

L’acquisto degli arredi deve avvenire entro il 31 dicembre 2025. Per dimostrare di essere nei tempi giusti è indispensabile fare riferimento alla data della transazione, riportata ad esempio nei pagamenti con carta.

Bonus mobili 2025, come richiederlo 

Il bonus si può richiedere mediante detrazione ai fini dell’Irpef per i 10 anni successivi a quello dell’acquisto. Le rate annuali consentono di fruire di un buono fiscale di 250 euro per ciascuna dichiarazione dei redditi, nel caso in cui si utilizzi l’incentivo per intero (5.000 euro di limite di spesa).

Un’avvertenza particolare riguarda proprio il tetto di spesa e l’utilizzo dell’incentivo in più anni. Se il bonus era stato usato in detrazione già nello scorso anno grazie a lavori edilizi relativi al 2024, è necessario detrarre la quota dei relativi acquisti dai 5.000 euro del 2025. 

Qual è l’importo del bonus mobili 2025

Ad esempio, se il contribuente aveva acquistato mobili nel 2024 per 3.000 euro per effetto di lavori edilizi sulla stessa unità abitativa iniziati già nel 2024, il tetto di spesa detraibile nel 2025 è pari a 2.000 euro.

Infine, per i documenti che attestino il pagamento dei mobili vige l’obbligo di conservazione. Si tratta di ricevute dei bonifici, di documenti di pagamento mediante carte di credito e debito e di fatture di acquisto, queste ultime contenenti la natura, la qualità e la quantità dei mobili acquistati e dei servizi (di trasporto e montaggio) annessi.

Negozio di forniture mobili

Fonte: Idealista.it

Quanto incide l’inflazione di aprile 2025 sui rinnovi annuali d’affitto: i canoni per città

L’Istat ha diffuso i dati relativi all’inflazione di aprile 2025. Si registra un aumento +1,9% su base annua (come nel mese precedente) per quanto riguarda l’indice dei prezzi al consumo. Emerge una dinamica identica per quanto riguarda l’indice FOI: +1,7% su base annua (come accadeva anche per le rilevazioni di 30 giorni fa). 

Quest’ultimo dato avrà un impatto tangibile sui bilanci famigliari degli inquilini con il rinnovo annuale dell’affitto, per i quali scatterà un aumento del canone di locazione. In Italia, in media, si pagheranno circa 14 euro in più al mese (e 168 euro all’anno). Scopriamo quanto aumentano gli affitti a seconda della città di residenza.

L’aumento dell’inflazione incide significativamente sulle finanze delle famiglie italiane, soprattutto su quelle che hanno l’adeguamento annuale del canone di locazione (per i contratti 4+4). Gli aumenti più consistenti si registrano a Milano, dove gli affitti mensili aumenteranno di circa 34 euro al mese rispetto allo stesso periodo del 2024. Per gli inquilini romani, invece, l’incremento mensile sarà di circa 21 euro.

È lo scenario che emerge da un’analisi di idealista, portale leader per sviluppo tecnologico in Italia, che ha calcolato quanto inciderà l’aumento dell’inflazione sull’adeguamento dei contratti di locazione di un trilocale in base all’Indice dei prezzi al consumo aggiornato e pubblicato dall’Istat. L’aumento dell’inflazione incide direttamente sui contratti di locazione legati all’indice FOI, ovvero quelli che prevedono la formula di durata 4+4.

Quanto aumentano gli affitti nei capoluoghi italiani con l’inflazione

I dati sono eleborati sulla media dei canoni di locazione di un trilocale rivalutati con l’indice FOI di aprile 2025

 Pagina 1 di 6  

CapoluogoCanone aggiornato (€/mese)Aggiornamento FOI 1,7% (€/mese)Canone mediano di un trilocale ad aprile ’24 (€/mese)
Milano2.034342.000
Firenze1.526251.500
Venezia1.526251.500
Como1.322221.300
Roma1.271211.250
Bologna1.220201.200
Bolzano-Bozen1.220201.200
Olbia1.220201.200
Cagliari1.119191.100
Monza1.119191.100
Padova1.119191.100
Napoli1.042171.025
Bergamo1.017171.000
Brescia1.017171.000
Parma1.017171.000
Ravenna1.017171.000
Verona1.017171.000
Varese96616950
Salerno94616930
Lecco91515900

Il report si concentra sull’analisi della media dei canoni di locazione richiesti negli annunci di trilocali in affitto pubblicati su idealista. Il taglio immobiliare analizzato dallo studio è stato individuato in quanto risulta essere quello più richiesto dalle famiglie, la categoria su cui l’aumento dell’inflazione pesa maggiormente.

In Italia, l’affitto per una casa con tre locali, secondo quanto rilevato ad aprile 2024, era di 800 euro al mese. Con l’adeguamento annuale calcolato con l’indice di inflazione FOI di aprile  2025, gli inquilini che dovranno fare i conti con il rinnovo del canone dovranno pagare circa 14 euro in più al mese in media (168 euro all’anno). 

A seconda della città analizzate (il report si è concentrato esclusivamente sui capoluoghi e non sulle province per via di una base dati molto più consistente) può variare anche considerevolmente. A Milano ci sono gli inquilini che subiranno gli aumenti più evidenti dei canoni di locazione (+34 euro al mese e 408 euro in più all’anno). Un dato quasi scontato, visto che il capoluogo lombardo, da tantissimo tempo, rappresenta anche la città con la media degli affitti più cara d’Italia.

Aumentano di circa 25 euro al mese (300 euro all’anno) gli affitti per gli inquilini che hanno il rinnovo annuale del canone di locazione residenti a Firenze e Venezia. Aumenti di circa 22 euro mensili (264 euro annui) per chi vive a Como e 21 euro al mese per gli inquilini di Roma (252 euro all’anno). Mentre il rialzo si attesta intorno ai 20 euro mensili per i canoni di locazione a Bologna e Bolzano (240 euro all’anno in media).

A Cagliari l’aumento del canone mensile sarà di 19 euro al mese, mentre a Napoli i rialzi saranno di 17 auro al mese (come a Bergamo, Brescia, Parma, Ravenna e Verona). Più in generale, gli impatti minori sugli aumenti dei canoni d’affitto (non oltre i 7 euro mensili) si rilevano a Alessandria, Nuoro, Asti, Biella, Caltanissetta e Vibo Valentia.

Fonte: Idealista.it

Salone del Libro di Torino 2025: il programma, gli ospiti, le date e i biglietti

Il Salone del Libro di Torino 2025 si svolgerà dal 15 al 19 maggio 2025 nella consueta location di Lingotto Fiere. Questo evento, ormai divenuto un simbolo della cultura italiana ed europea, richiama ogni anno migliaia di visitatori tra lettori appassionati, editori, insegnanti, studenti e famiglie. Si tratta, infatti, di un punto di incontro tra chi ama i libri e chi li crea, favorendo lo scambio di idee, la scoperta di nuovi autori e la promozione della lettura in tutte le sue forme.

L’edizione 2025 sarà caratterizzata dal tema “Le parole tra noi leggere”, un tributo sentito a Lalla Romano. Il programma, invece, promette un fitto calendario di appuntamenti. Ecco, allora, cosa c’è da sapere sul Salone del Libro di Torino 2025.

  1. Quando è il Salone del Libro 2025?
  2. Il programma completo e gli ospiti del Salone
  3. Quanto costa un biglietto per il Salone del Libro 2025?
  4. Dove si trova il Salone del Libro e come arrivare
  5. Vivere a Torino

Quando è il Salone del Libro 2025?

L’edizione 2025 si terrà, quindi, dal 15 al 19 maggio, confermando la tradizionale collocazione primaverile che da anni caratterizza questo evento. Il Salone si svolgerà presso il complesso Lingotto Fiere di Torino. 

Al suo interno, divisi in differenti padiglioni, ci saranno oltre 1.000 espositori e altrettanti eventi, fra presentazioni, talk e dibattiti. L’area espositiva sarà infatti di 137.000 metri quadrati che, quest’anno, si allargano a tutta la città grazie al Salone Off, previsto in diverse location dal 9 al 20 maggio.

salone del libro 2025

Il programma completo e gli ospiti del Salone

Gli incontri previsti per la XXXVII edizione sono davvero molteplici e, per orientarsi al meglio, è possibile usare il calendario ufficiale sul sito della manifestazione per filtrare i più interessanti. In particolare, si potrà scegliere in base al pubblico di riferimento (Grande Pubblico, Scuole, Professionali e Famiglie), ma anche in base a giorno, ora, area e sala. 

Quest’anno sono previsti alcuni ospiti internazionali di tutto rispetto, come ad esempio Valerie Perrin, Tracy Chevalier, Joel Dicker, Paul Murray, Mircea Cartarescu, ma anche autori e personaggi della cultura italiana come ad esempio Roberto Saviano, Licia Troisi, Dacia Maraini, Alessandro Barbero. Ricorda che alcuni eventi sono prenotabili in anticipo e, quindi, i posti potrebbero esaurirsi. Da consultare, poi, anche gli oltre 745 eventi del Salone OFF, alcuni dei quali gratuiti e senza prenotazione.

Per i professionisti, invece, è prevista una nuova sala stampa da 100 m2 e una lounge per gli operatori, dove sono previsti “speed date” fra editori, librai e influencer, in modo da far circolare idee e novità. 

salone del libro 2025

Quanto costa un biglietto per il Salone del Libro 2025?

Per l’edizione 2025, il costo del biglietto intero giornaliero è di 15 euro online e 22 euro in fiera. Permette quindi l’accesso a una delle giornate della manifestazione. L’abbonamento, invece, permette di accedere tutti e cinque i giorni al costo di 39 euro online e 60 in fiera.

Previsti, poi accrediti per professionisti e operatori professionali di vari settori. Ci saranno sconti per classi e scolaresche, ma anche ridotti per bambini, giovani fino ai 24 anni e over 65, con prezzi a partire da 3 euro. Infine, il biglietto per persone con disabilità costa 11 euro, con ingresso gratuito per un accompagnatore.

Ricorda che gli orari di apertura della fiera andranno dalle 10 alle 20 per giovedì 15, domenica 18 e lunedì 19; mentre venerdì 16 e sabato 17 andranno dalle 10 alle 21.

salone del libro 2025

Dove si trova il Salone del Libro e come arrivare

Il Salone del Libro di Torino si svolge in Via Nizza 294, facilmente riconoscibile grazie alla sua architettura industriale e alla vicinanza con la celebre pista automobilistica sul tetto, simbolo del quartiere Lingotto. Raggiungere la zona, sia da Torino che da fuori città è abbastanza semplice e, in particolare:

  • In metropolitana: la soluzione più rapida e sostenibile è la Linea 1 della metropolitana (M1), che collega la stazione ferroviaria di Porta Nuova con il quartiere. Scendi alla fermata Lingotto, situata a pochi minuti a piedi dall’ingresso principale del Salone.
  • In treno: se arrivi a Torino in treno, puoi scendere direttamente alla Stazione Torino Lingotto, collegata con le principali linee regionali e nazionali. Dalla stazione, il polo fieristico dista circa 10 minuti a piedi.
  • In autobus e tram: diverse linee urbane GTT (tra cui 1, 18, 35, 74) fermano nei pressi del Lingotto Fiere.
  • In auto: Il Lingotto Fiere è facilmente raggiungibile dalle principali autostrade (A4, A21, A32) seguendo le indicazioni “Torino Sud” e “Lingotto”. Sono disponibili parcheggi a pagamento nelle immediate vicinanze.
salone del libro 2025

Vivere a Torino

Abitare a Torino significa godere di un ambiente urbano ricco di verde, musei, teatri e librerie indipendenti, con quartieri dall’atmosfera unica. Dalla centralissima Piazza Castello alle rive del Po, passando per il quartiere San Salvario e le zone più moderne come il Lingotto, ogni quartiere di Torino offre i mezzi necessari per vivere bene. 

Inoltre, Torino si distingue anche per la sua eccellente rete di servizi: trasporti pubblici efficienti, numerose piste ciclabili, spazi verdi come il Parco del Valentino e una vasta offerta gastronomica che spazia dalla cucina tradizionale piemontese alle proposte più innovative. La città è inoltre sede di università prestigiose, centri di ricerca e poli tecnologici che attirano studenti e professionisti da tutta Italia e dall’estero.

salone del libro 2025

Fonte: Idealista.it

Domanda abitativa: perché il trilocale è il più amato dagli italiani

Secondo l’ultima analisi condotta dall’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa, la domanda immobiliare nelle grandi città italiane si concentra principalmente sul trilocale, che raccoglie il 40,4% delle preferenze registrate nel gennaio 2025. Questa tipologia si conferma quindi la più richiesta sul territorio nazionale, seguita dal bilocale (25%) e dal quattro locali (22,3%).

Perchè gli italiani preferiscono il trilocale

Il trilocale si distingue come una soluzione abitativa equilibrata, ideale per famiglie e coppie, e resta apprezzato anche dagli investitori per la sua versatilità. Tuttavia, il recente aumento dei prezzi immobiliari ha portato a una riduzione della concentrazione della domanda sui monolocali e bilocali, spesso scelti da chi ha una disponibilità economica più limitata o da chi intende acquistare per mettere a reddito.

Bilocali a Milano, quattro locali a Genova

Interessanti le differenze tra città. Milano, la metropoli più costosa d’Italia, rappresenta un’eccezione: qui il bilocale domina con il 46,1% delle richieste. Questo dato riflette una forte presenza di investitori e di single, attratti da soluzioni più piccole e centrali. All’opposto, Genova mostra una netta preferenza per il quattro locali (43%), favorita da prezzi di mercato più contenuti e da una domanda orientata verso immobili più spaziosi, spesso per uso familiare.

Il trilocale domina nei capoluoghi minori

Al di fuori delle grandi città, nei capoluoghi di regione minori, il trilocale conquista una fetta ancora maggiore della domanda: ben il 51,9%, seguito dal quattro locali (22,5%) e dal bilocale (20,1%). Da segnalare inoltre un aumento delle richieste per i cinque locali, sintomo di una crescente attenzione per spazi più ampi.

Le città dove il trilocale raggiunge i livelli più alti di preferenza sono Catanzaro, con un impressionante 68,9%, e Venezia, con il 63,6%, a dimostrazione di una domanda che, pur con caratteristiche diverse, si orienta sempre più verso immobili che garantiscano comfort e vivibilità.

L’analisi di Tecnocasa fotografa quindi un’Italia immobiliare variegata, in cui il trilocale resta il punto di riferimento principale, ma con eccezioni dettate da fattori locali come il costo della vita, la tipologia dell’utenza e l’andamento dei prezzi.

Fonte: Idealista.it

Affitti in crescita del 16% nel I trim 2025, +40% le locazioni transitorie

Cresce lo stock di affitti transitori sia Milano (87%) che nella Capitale (70%)

Il mercato delle locazioni ha registrato una forte accelerazione nei primi tre mesi del 2025. Secondo i dati dell’Ufficio Studi di idealista, portale immobiliare leader per sviluppo tecnologico in Italia, l’offerta di immobili in affitto è aumentata del 16% rispetto allo stesso periodo del 2024. 


A trainare il settore è soprattutto il notevole incremento delle locazioni transitorie, cresciute del 40% su base annua. Questo trend riflette un cambiamento nella domanda abitativa, sempre più orientata verso soluzioni flessibili e temporanee, con durate inferiori ai 18 mesi — in particolare nelle grandi città universitarie e nei centri ad alta mobilità lavorativa.

Per i proprietari, questa formula rappresenta un’opportunità interessante, in quanto riduce il rischio di morosità e limita gli impegni a lungo termine, grazie alla scadenza predefinita e motivata tipica di questo tipo di contratto.

L’analisi evidenzia, infatti, come gli affitti transitori stiano assumendo un peso crescente sul mercato, arrivando a rappresentare, oggi, il 25% dell’offerta totale.

I capoluoghi con il maggior peso degli affitti transitori

Massa (47%) è il capoluogo con la più alta percentuale di affitti transitori sull’offerta totale, seguita da Como (46%), Livorno (45%), Venezia (41%) e Firenze (38%). In altri 20 capoluoghi le locazioni transitorie superano la media nazionale del 25%. Tra questi spiccano i principali mercati come Napoli, con una quota del 33%, Milano e Bari (31%), Roma e Bologna (30%), Torino (28%), Palermo (27%) e Cagliari (26%). 

Savona, Pescara, Ravenna, La Spezia e Grosseto si attestano invece in linea con la media nazionale del 25%. Le restanti 75 città italiane presentano un’incidenza inferiore degli affitti transitori sull’offerta totale, con percentuali che variano dal 23% di Lecco al 2% di Lodi. Chiudono la classifica Isernia e Nuoro, dove la quota di affitti transitori è nulla.

Stock di case in affitto nel primo trimestre 2025

Variazione Annuale dell’offerta di abitazioni in affitto in Italia (I trim. 2024-2025)

 Pagina 1 di 6  

CapoluoghiVar. offerta in locazione classicaVar. offerta in locazione transitoria% locazione transitoria sul totale
Agrigento−4%−26%9%
Alessandria−24%17%8%
Ancona18%−4%11%
Aosta15%n.d29%
Arezzo17%−8%12%
Ascoli Piceno−12%100%6%
Asti−29%−33%7%
Avellino34%67%9%
Bari16%53%31%
Barletta49%33%9%
Belluno−12%−50%6%
Benevento−10%−57%3%
Bergamo46%71%19%
Biella−20%9%10%
Bologna43%113%30%
Bolzano-Bozen−12%120%14%
Brescia9%110%19%
Brindisi38%21%21%
Cagliari34%18%26%
Caltanissetta−23%n.d18%


Incremento dell’offerta di affitti transitori 

Nel corso dell’ultimo anno, lo stock di affitti transitori è aumentato in 74 capoluoghi italiani, a conferma di un trend in forte espansione. Gli incrementi più significativi si sono registrati a Lecco (163%), Trieste (152%), Macerata (150%) e Como (143%).

Anche le grandi città mostrano una crescita marcata dell’offerta: Napoli ha raddoppiato i volumi (101%), seguita da Milano (87%), Verona (81%), Roma (70%), Torino (68%), Genova (65%), Firenze (54%), Bari (53%), Palermo (42%) e Catania (27%).

A Pavia, Teramo, Fermo e Cuneo, invece, l’offerta di locazioni transitorie è rimasta stabile rispetto al primo trimestre del 2024.

All’estremo opposto, 21 capoluoghi hanno registrato una contrazione dell’offerta, con cali che vanno dal -4% di Trento fino al -57% di Benevento.

Locazioni classiche

Anche per quanto riguarda gli affitti tradizionali si registra una tendenza generalizzata all’aumento. In 64 capoluoghi, infatti, l’offerta di locazioni classiche è cresciuta rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

I maggiori incrementi dell’offerta di affitti classici si registrano a Nuoro (71%), Verbania (61%), Padova (53%), Verona (49%), Bergamo e Napoli (46%). 

Cresce l’offerta di locazioni classiche anche negli altri principali mercati urbani, quali Bologna (43%), Cagliari (34%), Firenze (29%), Milano (27%), Torino (22%), Venezia (21%), Palermo (18%) e Bari (17%). A Roma gli affitti tradizionali sono in aumento ma in maniera più contenuta, con una crescita del 7% rispetto all’anno precedente. Di segno opposto, 43 città mostrano delle riduzioni dell’offerta di case in locazione classica, con variazioni negative comprese tra il -1% di Grosseto e il -52% di Gorizia.

Metodologia d’analisi

Dati raccolti e analizzati da idealista/data, la proptech di idealista che fornisce informazioni a un pubblico professionale per facilitare il processo decisionale strategico, sia in Spagna, Italia e Portogallo. Utilizza tutti i parametri del database idealista di ciascun Paese, così come altre fonti di dati pubbliche e private per offrire servizi di valutazione, investimento, acquisizione e analisi di mercato.

Cos’è l’affitto transitorio?

Il contratto di locazione transitorio, regolato dalla legge 431/1998, è un accordo impiegato per l’affitto di un immobile ad uso abitativo per un periodo di tempo limitato e per esigenze abitative temporanee non turistiche. Questo tipo di contratto di locazione è particolarmente vantaggioso per studenti universitari e lavoratori che necessitano di trascorrere un breve periodo fuori dalla loro città di residenza per motivi di studio o lavoro.

Fonte: Idealista.it

Investimenti immobiliari sul mercato italiano, i settori più in vista nel 2025

Nel primo trimestre del 2025 il mercato immobiliare italiano ha mostrato segnali di forte ripresa, con investimenti nel comparto capital markets che hanno raggiunto circa 2,7 miliardi di euro, registrando una crescita del 47% rispetto agli 1,8 miliardi dello stesso periodo del 2024. È quanto emerge dall’ultima analisi di JLL, società leader nei servizi professionali e nella gestione degli investimenti per il real estate.

A sostenere la ripresa è stato anche il nuovo ciclo di riduzione dei tassi d’interesse, che ha favorito l’afflusso di capitali nonostante il persistere di uno scenario macroeconomico e geopolitico complesso.

Il mercato si presenta oggi ben bilanciato, con quattro settori chiave — Logistica, Uffici, Hospitality e Retail — che rappresentano oltre il 90% del volume totale degli investimenti. La quota restante è rappresentata principalmente dal segmento Living e da asset a uso misto, confermando la crescente diversificazione del mercato immobiliare italiano.

Logistica e Industrial: investimenti raddoppiati

Il comparto Industrial & Logistics ha chiuso il Q1 2025 con circa 670 milioni di euro di investimenti, raddoppiando i volumi del Q1 2024. A trainare il settore sono state alcune importanti operazioni, tra cui due portafogli da oltre 200 milioni ciascuno, che da soli hanno rappresentato circa il 70% dei volumi complessivi. I rendimenti netti prime si attestano al 5,5%, con aspettative di compressione nei prossimi mesi.

Office: Milano guida gli investimenti

Anche il settore Office ha registrato 670 milioni di euro, in crescita del 10% su base annua. Milano si conferma il centro di maggiore attrattività, soprattutto con operazioni core nel CBD Porta Nuova. Interessanti anche le transazioni legate a conversioni d’uso, che hanno rappresentato il 20% dei volumi. I rendimenti prime si sono compressi a 4,25% a Milano, mentre restano stabili al 4,75% a Roma.

Hospitality: boom di investimenti

Il settore Hospitality ha vissuto un trimestre di straordinaria crescita, con volumi quasi triplicati rispetto al 2024. Considerando anche le riconversioni da altre destinazioni d’uso, gli investimenti complessivi si attestano attorno ai 670 milioni di euro. Roma, Capri e Milano sono state protagoniste di importanti transazioni. L’interesse è spinto da performance operative solide e da piani di espansione delle principali catene alberghiere.

Retail: trainato dagli Outlet e dall’High Street

Gli investimenti nel Retail hanno raggiunto i 560 milioni di euro, di cui oltre il 60% generati da una singola operazione su un portafoglio di outlet per 350 milioni. Rilevanti anche due transazioni High Street a Milano e Firenze, entrambe effettuate da investitori privati. I rendimenti prime restano stabili: 4,25% per l’High Street6,50% per i Centri Commerciali.

Living: interesse crescente nonostante incertezze

Il comparto Living ha totalizzato investimenti per circa 120 milioni di euro, con la transazione più significativa nel settore PBSA a Bologna. Altri 50 milioni provengono da progetti di riconversione. I rendimenti prime si attestano al 4,75% per il Multifamily e al 5,25% per il PBSA, mentre restano stabili al 6% per l’Healthcare. Le incertezze normative a Milano frenano lo sviluppo, ma altre città come Roma, Firenze e Bologna guadagnano terreno.

Investitori privati sempre più attivi

Un dato rilevante riguarda la crescita del coinvolgimento degli investitori privati, che hanno partecipato a circa il 30% delle operazioni, rappresentando oltre il 20% dei volumi. Le asset class più gettonate sono Office, Hospitality e Retail.

Le prospettive secondo JLL

“Il Q1 2025 ha registrato un notevole aumento degli investimenti capital markets, specialmente nei settori Logistica, Hospitality, Uffici e Retail,” ha commentato Alberico Radice Fossati, Country Leader e Head of Capital Markets di JLL Italia. “Per i prossimi mesi prevediamo un’ulteriore espansione guidata dal calo dei tassi, con maggiore partecipazione di investitori internazionali e crescente interesse verso asset emergenti. Tuttavia, l’incertezza geopolitica e le sfide legate alle tariffe USA potrebbero impattare la fiducia degli investitori.”

Fonte: Idealista.it

Pergotenda: serve il permesso in condominio? Cosa sapere

L’installazione di una pergotenda spesso rientra nell’edilizia libera, ma potrebbe essere comunque richiesto il voto assembleare.

Strutture che potrebbero alterare il decoro architettonico dello stabile, o modificare l’accesso e l’utilizzo delle parti comuni, richiedono spesso una valutazione approfondita per i condomini. Per l’installazione di una pergotendaserve il permesso in condominio? È questo uno dei dubbi più diffusi, soprattutto fra i condomini che possono approfittare di un giardino oppure di una terrazza privata. In linea generale, la predisposizione di una pergotenda può rientrare nell’edilizia libera, questo tuttavia non esclude eventuali autorizzazioni da parte dell’assemblea.

  1. Che permessi servono per la pergotenda
  2. Quali sono le normative e i casi pratici per la pergotenda in edilizia libera

Che permessi servono per la pergotenda

Rispettando alcune precise condizioni previste dalla legge, l’installazione di una pergotenda è un’attività che può rientrare perfettamente nell’edilizia libera, quindi senza la necessità di ottenere permessi specifici dal Comune. Tuttavia, così come già accennato in apertura, in ambito condominiale la predisposizione di questa struttura potrebbe essere più complessa e, in alcuni casi, anche soggetta ad autorizzazione da parte dell’assemblea.

È quindi utile sia ricordare quali siano i casi di legge che prevedono una libera installazione della pergotenda e, ancora, quando sia necessario vagliare il parere del condominio.

La pergotenda in edilizia libera

Innanzitutto, è indispensabile accertarsi dei casi che permettono di installare una pergotenda in edilizia libera. Come previsto dal Testo Unico dell’Edilizia, ovvero il D.P.R. 380/2001, aggiornato con il Decreto Salva Casa – il D.L. 69/2024, convertito nella Legge 105/2024 – la predisposizione di una pergotenda non richiede specifici permessi, come la SCIA o la CILA, in presenza di determinate caratteristiche tecniche. Il Decreto Salva Casa ha infatti ammesso in edilizia libera:

  • una struttura leggera e amovibile, realizzata quindi in materiali come l’acciaio, l’alluminio, il PVC o il legno, che non sia stabilmente fissata al suolo. L’utilizzo di viti e tasselli per affrancare la struttura a una parete esterna è generalmente ammesso, purché non renda la pergotenda stabilmente ancorata o comporti una trasformazione permanente del territorio;
  • una copertura retrattile, progettata per la protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, realizzata in tessuto, plastica o qualsiasi altro materiale rimovibile, affinché non vengano creati nuovi volumi o superfici utili;
  • una pergotenda che non necessiti di opere murarie o, ancora, non comporti modifiche strutturali significative all’edificio.
Pergotenda sul balcone

Naturalmente, le pergotende dovranno essere predisposte nel rispetto dei regolamenti e delle normative locali, ad esempio relative a vincoli storici o paesaggistici. Per evitare la creazione di nuove volumetrie stabili, una pergotenda chiusa a vetri non richiede permessi se utilizza vetrate panoramiche amovibili (VEPA), scorrevoli e completamente apribili, come previsto dal D.L. 115/2022, convertito nella Legge 142/2022. Le vetrate fisse, invece, possono configurare una nuova costruzione, richiedendo un permesso di costruirein base al Testo Unico dell’Edilizia.

Quando serve l’autorizzazione del condominio

Similmente a quanto accade per i pergolati senza permesso, anche per l’installazione di una pergotenda in edilizia libera potrebbero essere necessarie delle specifiche autorizzazioni da parte del condominio.

Il primo passaggio consiste nella verifica di eventuali limitazioni previste da regolamento:

  • il regolamento condominiale può prevedere indicazioni su colori e materiali o, ancora, specifici divieti;
  • il regolamento contrattuale può includere limitazioni più rigide, vincolanti per tutti i condomini, anche sulle porzioni di proprietà esclusiva dello stabile.

Dopodiché, l’approvazione da parte dell’assemblea è solitamente necessaria quando:

  • si rischia di violare il decoro architettonico, la stabilità o la sicurezza dell’edificio, in base all’articolo 1120 del Codice Civile. Sebbene il Consiglio di Stato, con la sentenza 1777/2014, abbia specificato che le strutture leggere e amovibili – come appunto le pergotende – generalmente non compromettano il decoro architettonico data la loro natura temporanea, lo stesso concetto di decoro va valutato caso per caso, rendendo spesso necessario il parere dell’assemblea;
  • la pergotenda invade o utilizza le parti comuni, ad esempio con un fissaggio alle pareti perimetrali dello stabile. L’articolo 1102 del Codice Civile sottolinea che i condomini possono utilizzare le parti comuni senza alterarne la destinazione o limitare il diritto degli altri condomini di fare altrettanto, di conseguenza una pergotenda che altera tali diritti è soggetta ad autorizzazione assembleare.

Quando è necessario il voto assembleare, bisogna rispettare le maggioranze previste dall’articolo 1136 del Codice Civile. Per interventi minori, come l’installazione di una pergotenda che non altera significativamente l’edificio, è sufficiente la maggioranza degli intervenuti, purché rappresentino almeno 500 millesimi del valore dell’edificio. Per innovazioni più rilevanti, quali modifiche estetiche significative, potrebbe essere richiesta una maggioranza qualificata di due terzi dei millesimi.

Ancora, è sempre buona consuetudine vagliare l’approvazione informale da parte dell’assemblea di interventi che, in realtà, non la richiederebbero, così da evitare controversie future.

Quali sono le normative e i casi pratici per la pergotenda in edilizia libera

Per comprendere al meglio i campi di applicazione della pergotenda in edilizia libera, è utile fare riferimento ad alcuni casi pratici, in relazione alla normativa vigente. Così come già spiegato, la legge di riferimento è il Testo Unico dell’Edilizia, a seguito degli aggiornamenti del Decreto Salva Casa, così come tutte le norme del Codice Civile applicabili. 

Di particolare rilievo è il Glossario Unico per l’Edilizia Libera, introdotto dal D.M. del 2 marzo 2018, che elenca le pergotende tra le opere che non richiedono titoli abilitativi, in presenza delle caratteristiche indicate. Il Decreto Salva Casa ha ulteriormente chiarito che le pergotende, incluse quelle bioclimatiche con telo retrattile, rientrano in edilizia libera se non creano volumi chiusi.

La pergotenda in condominio al piano terra

Per l’installazione di una pergotenda in condominio al piano terra, ad esempio in un giardino di proprietà esclusiva di un condomino, non è necessario ottenere alcun permesso dal Comune, se la struttura è leggera, rimovibile, dotata di copertura retraibile e tale da non aumentare stabilmente la volumetria dell’immobile.

Rimarranno però da verificare:

  • le eventuali disposizioni da regolamento contrattuale o condominiale;
  • il rispetto dei vincoli di utilizzo delle parti comuni, ai sensi dell’articolo 1102 del Codice Civile;
  • il rispetto del decoro architettonico e della sicurezza dello stabile, in base all’articolo 1120 del Codice Civile.

Per questo tipo d’installazione, può sorgere il dubbio delle distanze legali per la pergotenda. Poiché si tratta di una struttura amovibile e temporanea, generalmente non è necessario rispettare le distanze minime tra costruzioni previste dall’articolo 873 del Codice Civile. Tuttavia, la giurisprudenza valuta caso per caso, considerando anche strutture leggere, ma stabilmente ancorate, come possibilmente soggette al rispetto delle distanze.

Quando la pergotenda è sul terrazzo

Altro caso particolarmente comune è quello dell’installazione di una pergotenda sul terrazzo. A questo scopo, bisognerà distinguere tra:

  • la pergotenda sul terrazzo privato in condominio, dalle regole sovrapponibili ai casi visti in precedenza. Si tratta di una costruzione che non richiede permessi, se in edilizia libera, tuttavia bisognerà sempre rispettare il decoro architettonico ed eventuali limitazioni da regolamento condominiale;
  • la pergotenda sul terrazzo condominiale, concesso in uso al singolo condomino, richiede l’approvazione dell’assemblea poiché si tratta di una parte comune dello stabile, in base ai già citati articoli 1102 e 1120 del Codice Civile. Dovrà quindi rispettare il decoro architettonico, non pregiudicare la sicurezza e la stabilità dello stabile, né limitare i diritti degli altri condomini. Le maggioranze richieste, in base all’articolo 1136 sempre del Codice Civile, sono solitamente pari alla metà degli intervenuti, purché rappresentino almeno 500 millesimi.
Pergotenda aperta sul terrazzo

Unsplash

È però doveroso specificare che, se il regolamento contrattuale vieta esplicitamente la predisposizione di simili strutture nelle aree comuni del condominio, servirà una modifica dello stesso regolamento, ottenendo l’unanimità dei condomini. Ancora, se la pergotenda sul terrazzo è chiusa, in edilizia libera sono consentite solo vetrate rimovibili e apribili, come spiegato nei precedenti paragrafi.

La pergotenda sotto al balcone

Infine, l’installazione di una pergotenda sotto al balcone, ad esempio in uno spazio coperto dal terrazzo del condomino al piano superiore, rappresenta una soluzione pratica per creare un’area protetta dal sole e dagli agenti climatici. Eppure, bisogna condurre un’analisi attenta, caso per caso, per comprendere se siano necessarie autorizzazioni.

Anche in questo caso si può rientrare nell’edilizia libera, sempre predisponendo una struttura leggera, amovibile, con copertura retrattile e priva di opere murarie. Tuttavia, potrebbe rendersi necessaria l’autorizzazione dell’assemblea se la struttura modifica il decoro dello stabile o l’estetica del condominio, ad esempio perché visibile dalla facciata. Come già chiarito, secondo il Consiglio di Stato una simile struttura non influisce sul decoro, se ben integrata e non fissa, tuttavia la valutazione è caso per caso. Ancora, se sono necessari interventi sulla soletta sovrastante, potrebbe essere necessario il consenso del relativo condomino.

Un altro aspetto da non sottovalutare è il diritto di veduta in appiombo, in base all’articolo 907 del Codice Civile. Una pergotenda sotto al balcone, che ostruisce la visuale diretta verso il basso da parte del condominio del piano superiore, potrebbe essere infatti contestata. Per evitare dispute, è quindi utile allertare sia l’amministratore che i condomini coinvolti e, se necessario, procedere a un’approvazione informale da parte dell’assemblea.

Fonte: Idealista.it

Trasformare il tetto in terrazzo: permessi necessari e cosa sapere

La trasformazione del tetto in terrazzo comporta l’ottenimento di precisi permessi e, in condominio, l’autorizzazione assembleare

Tra i progetti ambiziosi per la propria casa c’è sicuramente quello di trasformare il tetto in un terrazzo: oltre a offrire un nuovo spazio aperto per approfittare della bella stagione, può influire sul valore dell’immobile. Eppure, si tratta di un intervento che richiede una particolare attenzione, non solo ai costi, ma anche ai permessi necessari. Bisogna infatti non solo ottenere i necessari titoli abilitativi da parte del Comune, ma anche specifiche autorizzazioni dall’assemblea se si risiede in contesti condominiali. Ma cosa sapere?

  1. Che differenza c’è tra terrazzo e lastrico solare
  2. Che permessi ci vogliono per fare un terrazzo
  3. Quanto costa trasformare un tetto in terrazzo

Che differenza c’è tra terrazzo e lastrico solare

Prima di addentrarsi nelle questioni relative ai titoli abilitativi e alle autorizzazioni di condominio, è innanzitutto necessario comprendere la differenza tra terrazzo e lastrico solare. Per quanto entrambi fungano da copertura dell’edificio, gli interventi da realizzare e i relativi permessi potrebbero differire leggermente.

Nel linguaggio comune i due termini sono spesso confusi, tuttavia:

  • il terrazzo è una superficie piana, destinata all’uso abitativo o ricreativo e, di sua progettazione, è pensata per essere calpestabile e dotata di parapetti di sicurezza. Si parla più propriamente di tetto a terrazza praticabile, quando è presente nell’edificio già dalla sua costruzione o, ancora, a seguito della trasformazione dello stesso tetto;
  • il lastrico solare è la semplice copertura piana di un edificio, alternativa al più classico tetto spiovente, che di solito non nasce esplicitamente per l’uso diretto come spazio vivibile. Se semplicemente progettato come copertura dell’edificio dagli agenti atmosferici, si parla più propriamente di tetto a terrazza non praticabile. Tuttavia, con i necessari interventi di trasformazione e adeguamento, può diventare praticabile.
Terrazza sul tetto del condominio

Mentre un terrazzo già progettato per questa funzione può essere immediatamente utilizzabile, il lastrico solare può spesso essere sottoposto ad alcuni specifici interventi, come l’installazione dei necessari parapetti o la modifica della pavimentazione, in base alle normative urbanistiche e paesaggistiche vigenti.

Che permessi ci vogliono per fare un terrazzo

Chi vuole trasformare un tetto in un terrazzo si trova a dover affrontare un intervento edilizio rilevante, che richiede l’ottenimento di specifici permessi, in relazione a quanto previsto dal D.P.R. 380/2001, ovvero il Testo Unico dell’Edilizia. È però necessario distinguere tra due situazioni decisamente diverse: gli interventi di trasformazione su una casa di proprietà e, invece, quelli relativi a un contesto condominiale.

Creare una terrazza sul tetto in una casa di proprietà

Per chi può approfittare di una casa di proprietà, la predisposizione di una terrazza sul tetto è soggetta all’ottenimento di alcuni specifici permessi, a seconda dell’intervento da realizzare. In linea generale, potrebbe essere richiesta la SCIA – ovvero la Segnalazione Certificata di Inizio Attività – oppure il permesso a costruire.

La SCIA serve per gli interventi di manutenzione straordinaria o ristrutturazione edilizia leggera, che modificano la struttura dell’edificio senza una significativa alterazione del volume, della sagoma e della destinazione d’uso. Può essere quindi sufficiente, informandosi preventivamente presso il Comune, per gli interventi su un lastrico solare già praticabile, che richiedono solo adeguamenti, quali la posa della pavimentazione antiscivolo o l’impermeabilizzazione e il posizionamento, purché non venga:

  • cambiata la destinazione d’uso del tetto;
  • alterata la sagoma dell’edificio o creati nuovi volumi.

Per la trasformazione di un tetto in terrazza, sono però rari i casi in cui la SCIA è sufficiente. Il permesso a costruire è il titolo abilitativo necessario più frequente, indispensabile per interventi più invasivi, come la trasformazione di un tetto non praticabile, che comportano:

  • il cambio di destinazione d’uso del tetto, ad esempio da semplice copertura a spazio fruibile;
  • modifiche significative alla sagome o al volume dell’edificio, come quando si decide di trasformare un sottotetto in terrazzo, ad esempio predisponendo verande o ambienti chiusi.

In entrambi i casi, bisognerà comunque procedere a verifica strutturale – ovvero il sopralluogo da parte di un tecnico abilitato, che possa certificare la possibilità di sostenere il peso aggiuntivo che la trasformazione di un tetto a terrazzo comporta – e vagliare eventuali autorizzazioni paesaggistiche, se l’immobile si trova in un’area vincolata. Come facile intuire, lo stesso processo vale anche per le pertinenze dell’abitazione principale, ad esempio quando si vuole convertire il tetto del garage in terrazzo.

La trasformazione del tetto condominiale

Ma cosa succede se il tetto che si desidera trasformare in terrazzo appartiene a un condominio? Oltre alle autorizzazioni già elencate, ovvero la SCIA o il permesso a costruire, bisogna vagliare anche le relative autorizzazioni in sede di assemblea.

Innanzitutto, va ricordato che lo stesso tetto – o, eventualmente, il lastrico solare – rappresenta una parte comune dello stabile, in base all’articolo 1117 del Codice Civile. Di conseguenza, bisognerà procedere:

  • verificando il regolamento, che potrebbe includere dei limiti o dei divieti specifici. In particolare, se di natura contrattuale, potrebbe essere estremamente vincolante per i condomini;
  • ottenendo una delibera condominiale per la trasformazione. Trattandosi di un’innovazione ai sensi dell’articolo 1120 del Codice Civile, sarà necessario ottenere una maggioranza qualificata degli intervenuti che rappresentino almeno i due terzi del valore dell’edificio, in prima o seconda convocazione, come previsto dagli articoli 1120 e 1136 del Codice Civile. Se, tuttavia, la trasformazione è vietata da regolamento contrattuale, quest’ultimo dovrà essere modificato con un voto unanime;
  • verificando la fattibilità del progetto con un tecnico abilitato;
  • richiedendo gli opportuni permessi in Comune, come la SCIA o il permesso a costruire, a seconda dell’intervento da realizzare.

Naturalmente, l’intervento non dovrà ledere la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell’edificio.

Da tetto a terrazzo a uso esclusivo

In condominio, tuttavia, ci si può trovare nella situazione in cui il tetto da trasformare in terrazzo sia a uso esclusivo, pur restando parte comune. Ad esempio, i residenti dell’ultimo piano potrebbero voler ricavare un terrazzo a tasca sul tetto. Come si procede, in questi casi?

Su questo fronte, emergono due principali orientamenti della giurisprudenza sulle maggioranze da ottenere in assemblea:

  • secondo una prima interpretazione – come nel caso della sentenza 19281/2009 della Cassazione – la trasformazione di un tetto condominiale in terrazzo a uso esclusivo può rappresentare un’appropriazione di una parte comune, che viene sottratta al godimento degli altri condomini, pur continuando a svolgere la funziona di copertura. Per questo, è necessario il consenso unanime in assemblea, poiché ne viene alterata la destinazione d’uso comune. La valutazione, tuttavia, è caso per caso;
  • un secondo orientamento – ad esempio, con la sentenza della Cassazione 2126/2021 – prevede invece la possibilità di trasformazione del tetto a uso esclusivo, purché ne venga preservata la funzione di copertura e di protezione delle strutture sottostanti. Può essere quindi considerato come un uso più intenso della cosa comune, in base all’articolo 1102 del Codice Civile, perciò potrebbe bastare la maggioranza degli intervenuti in assemblea, purché rappresentino i due terzi del valore dell’edificio, ovvero almeno 667 millesimi. 
Terrazza sul tetto

Anche in questo caso, in presenza di divieti a livello di regolamento contrattuale, l’eventuale modifica richiede l’unanimità. Ottenuto il voto favorevole in assemblea, bisognerà sempre procedere a valutazione tecnica del progetto e all’ottenimento dei relativi titoli abilitativi in comune.

Quanto costa trasformare un tetto in terrazzo

Analizzate le relative autorizzazioni necessarie, quanto costa trasformare un tetto in terrazzo? Non esistono precise cifre di riferimento, poiché molto dipende dalla natura del progetto e dai prezzi del luogo in cui sorge l’immobile. Indicativamente:

  • per le case di proprietà, i prezzi possono oscillare tra i 20.000 e i 50.000 euro, includendo l’impermeabilizzazione e la pavimentazione, i parapetti, i rinforzi strutturali e l’ottenimento dei relativi permessi;
  • per i condomini i costi sono generalmente più alti, tra 30.000 e 70.000 euro, sempre comprendendo le necessità elencate in precedenza.

Per i contesti dove la nuova terrazza verrà utilizzata dall’intero condominio, è utile specificare che i costi di trasformazione sono a carico dei condomini che approvano l’intervento, trattandosi di un’innovazione voluttuaria, come previsto dall’articolo 1121 del Codice Civile. I condomini dissenzienti possono esimersi dal contribuire, ma hanno il diritto di partecipare successivamente, sostenendo una quota di spesa proporzionale. 

Se l’innovazione è però deliberata con la maggioranza prevista dall’articolo 1120 del Codice Civile, e non è considerata voluttuaria, o se tutti i condomini accettano di contribuire, i costi possono essere suddivisi fra tutti in base ai millesimi di proprietà, come previsto dall’articolo 1123 del Codice Civile.

Per i tetti a uso esclusivo, i costi di trasformazione sono a carico del singolo condomino che beneficia del terrazzo, con eventuali compensazioni economiche per gli altri condomini a causa della perdita del godimento comune, se negoziate in assemblea. Tuttavia, se l’intervento migliora la funzione di copertura del tetto, ad esempio con una nuova impermeabilizzazione, le relative spese possono essere suddivise in base all’articolo 1126 del Codice Civile:

  • 1/3 a carico del condomino che ne detiene l’uso esclusivo;
  • 2/3 terzi a carico degli altri condomini coperti dal lastrico, in base ai millesimi di proprietà, poiché appunto beneficiano della copertura.

In ogni caso, per valutare correttamente la spesa è utile affidarsi a professionisti qualificati e, per altre idee per la terrazza sul tetto, chiedere sempre un parere preliminare all’amministratore del condominio.

Fonte: Idealista.it

Tempi di vendita della prima casa, novità anche per chi ha comprato nel 2024

La legge di Bilancio 2025 ha raddoppiato il termine per vendere la prima casa senza perdere l’agevolazione per il nuovo acquisto

La legge di Bilancio 2025 ha introdotto un’interessante novità per quanto riguarda i tempi di vendita della prima casa. È stato infatti esteso da uno a due anni il periodo di tempo per alienare (vendere o donare) gli immobili preposseduti che sono stati già acquistati con i benefici fiscali. Adesso, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’estensione del predetto limite temporale non è riservata agli atti di acquisto di immobili stipulati a far data dal 1° gennaio 2025 e che lo stesso si applica anche nel caso in cui, al 31 dicembre 2024, non sia ancora decorso il termine di un anno, entro cui il contribuente è tenuto ad alienare l’immobile pre­posseduto. 

Nello specifico, con la risposta n. 127 del 5 maggio 2025, l’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto ricordato che l’agevolazione prima casa è disciplinata dalla Nota II ­bis posta in calce all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Tur. Secondo quanto previsto da tale articolo, agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione di categoria catastale diversa da A/1, A/8, A/9 e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse viene applicata l’aliquota del 2 per cento a patto che: 

  • l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza […];
  • nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  • nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo […]. 

L’Agenzia delle Entrate ha poi spiegato che “il successivo comma 4­ bis, come modificato dall’articolo 1, comma 116, della legge 30 dicembre 2024 n. 207 (legge di Bilancio 2025), stabilisce che ‘l’aliquota del 2 per cento si applica anche agli atti di acquisto per i quali l’acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest’ultimo immobile sia alienato entro due anni dalla data dell’atto. In mancanza di detta alienazione, all’atto di cui al periodo precedente si applica quanto previsto dal comma 4’”. 

Il comma 116 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2025 ha dunque raddoppiato il termine per vendere la prima casa senza perdere l’agevolazione per il nuovo acquisto, “in quanto il contribuente resta momentaneamente titolare di due immobili, acquistati entrambi con il beneficio in esame”. 

Per quanto riguarda nello specifico la decorrenza della nuova disposizione, con la risposta fornita nel corso dell’8° Forum dei Commercialisti, tenutosi il 27 gennaio 2024 e pubblicata su Italia Oggi il 28 gennaio 2025, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’articolo 1, comma 116, della legge di Bilancio 2025 non prevede che l’estensione del predetto limite temporale sia riservata agli atti di acquisto di immobili stipulati a far data dal 1° gennaio 2025 e che lo stesso si applica anche nel caso in cui, al 31 dicembre 2024, non sia ancora decorso il termine di un anno, entro cui il contribuente è tenuto ad alienare l’immobile pre­posseduto. 

Fonte: Idealista.it