Sconto in fattura per il superbonus, i chiarimenti sulla deroga

Cosa ha spiegato l’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 26 del 12 febbraio 2025

Lo sconto in fattura per interventi legati al superbonus fino a quando può proseguire? A chiarirlo è l’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 26 del 12 febbraio 2025, nella quale ha fornito precisazioni in merito all’applicazione della deroga al divieto all’esercizio delle opzioni per la fruizione con modalità alternative alla detrazione previsto dal decreto Cessioni (Dl n. 11/2023), come rivisto dal Dl n. 39/2024 “Misure urgenti in materia di agevolazioni fiscali”. 

Le disposizioni del decreto Cessioni e le deroghe previste

L’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto ricordato che il decreto legge 29 marzo 2024, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2024, n. 67, ha ridefinito il perimetro di operatività dell’esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura o per lacessione del credito d’imposta corrispondente a talune detrazioni. 

Nel dettaglio, come spiegato, il comma 1 dell’articolo 2 del decreto Cessioni ha introdotto, a decorrere dal 17 febbraio 2023 (data di entrata in vigore del medesimo decreto), un divieto all’esercizio delle opzioni per la fruizione con modalità alternative alla detrazione (sconto in fattura o cessione del credito corrispondente alle detrazioni). Ma i successivi commi dell’articolo 2 del decreto Cessioni dispongono specifiche deroghe a tale divieto, che operano al verificarsi delle condizioni tassativamente previste. 

In particolare, con i commi 2 e 3 dell’articolo 2 viene previsto che tale divieto non operi, al ricorrere delle condizioni ivi descritte, in relazione alle spese sostenute, rispettivamente, per gli interventi per i quali spetta la detrazione di cui all’articolo 119 del decreto Rilancio e per gli interventi per i quali spettano detrazioni diverse dal superbonus richiamati al comma 2 dell’articolo 121 del medesimo decreto Rilancio. 

L’Agenzia delle Entrate ha poi ricordato che, secondo quanto previsto dalla lettera b) del comma 2, il divieto non opera se, in data antecedente al 17 febbraio 2023, “[…] b) per gli interventi effettuati dai condomini risulti adottata la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori e risulti presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila), ai sensi dell’articolo 119, comma 13­ter, del decreto ­legge n. 34 del 2020”. 

L’articolo 1 del decreto legge n. 39 del 2024 ha poi modificato l’ambito applicativo dei commi 2 e 3 dell’articolo 2 del decreto Cessioni. Nel dettaglio, secondo l’articolo 1, comma 5, “le disposizioni di cui all’articolo 2, commi 2 e 3, del citato decreto ­legge n. 11 del 2023 non si applicano agli interventi contemplati al comma 2, lettere a), b) e c), primo periodo, e al comma 3, lettere a) e b), del medesimo articolo 2 per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non è stata sostenuta alcuna spesa, documentata da fattura, per lavori già effettuati”. Questo significa, come precisato dall’Agenzia delle Entrate, che “le deroghe al blocco delle opzioni continuano a operare al verificarsi dell’ulteriore condizione, posta dal comma 5, che al 30 marzo 2024 sia avvenuta l’effettuazione di lavori con il sostenimento mediante pagamento delle relative spese”. 

L’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che, nel caso dello sconto in fattura, se lo sconto è integrale, si deve fare riferimento alla data di emissione della fattura; se invece è parziale, bisogna fare riferimento alla data del pagamento dell’importo della fattura eccedente lo sconto, a nulla rilevando la data di emissione della fattura da parte del fornitore. 

Cosa accade con il pagamento effettuato entro il 30 marzo 2024

E ha sottolineato che, in assenza di specifiche preclusioni, l’avvenuta esecuzione di un pagamento entro il 30 marzo 2024, relativo a “lavori già effettuati”, consente di esercitare l’opzione con riferimento alle spese sostenute successivamente a tale data riferite agli interventi indicati nella comunicazione di inizio lavori asseverata (Cilas) o nel diverso titolo abilitativo richiesto, nonché nell’accordo vincolante in caso di interventi di edilizia libera, qualunque sia la percentuale di stato di avanzamento lavori realizzato al 30 marzo 2024. 

In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “la condizione ‘per lavori già effettuati’ si ritiene, dunque, soddisfatta, in generale, quando, relativamente ai singoli interventi autonomamente considerati, il pagamento effettuato entro il 30 marzo 2024 (unitamente alle altre condizioni previste dall’articolo 1, comma 5, del decreto legge n. 39 del 2024) si riferisca alla realizzazione, anche in parte, dei relativi lavori e sia stato documentato mediante fattura”. Di conseguenza, la deroga al divieto per l’esercizio dello sconto in fattura o della cessione del credito “opera esclusivamente con riferimento all’intervento per il quale, alla data del 30 marzo 2024, unitamente alle altre condizioni previste dall’articolo 1, comma 5, del decreto legge n. 39 del 2024, siano stati effettuati, anche in parte, i relativi lavori e sia stato effettuato, anche in parte, il relativo pagamento”. 

Nel caso in cui “più interventi, ancorché autonomi, siano ricompresi nel medesimo titolo abilitativo (Cilas) o – se si tratta di interventi per i quali non sia richiesta la presentazione di un titolo abilitativo – nell’accordo vincolante, la suddetta condizione è soddisfatta quando le spese pagate, documentate da fattura, si riferiscono anche ad uno solo degli interventi ivi indicati”. 

L’Agenzia delle Entrate ha infine spiegato che, “considerata la finalità della norma volta a conservare il diritto all’esercizio delle opzioni solo ai contribuenti che entro il 30 marzo 2024 hanno già effettuato lavori per i quali alla predetta data siano state pagate le relative spese, documentate da fattura, si ritiene che la condizione richiesta è soddisfatta anche quando le spese per i predetti lavori siano state pagate, nell’ambito di un contratto di appalto, da un soggetto diverso dal committente beneficiario della detrazione (l’appaltatore principale o eventuali subappaltatori)”. Aggiungendo che, “l’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito può essere esercitata anche dal committente che si avvale di un appaltatore (ad esempio, di un contraente generale) il quale, nonostante abbia pagato alla data del 30 marzo 2024 ai subappaltatori una parte dei lavori effettuati, non abbia entro tale data emesso fattura nei confronti del committente in relazione ai medesimi lavori”. 

In conclusione, dunque, lo sconto in fattura per il superbonus può essere esercitato dal condominio che ha affidato i lavori a un’impresa general contractor, la quale a sua volta si è avvalsa di appaltatori, se il general contractor, alla data del 30 marzo 2024, ha pagato ai subappaltatori una parte dei lavori edili effettuati. Questo anche se, al 30 marzo 2024, non ha emesso fattura nei confronti del condominio committente.

Fonte: Idealista.it

Quando è San Valentino? Ecco tutte le idee per festeggiarlo al meglio

Tutto quello che dovresti sapere sulla festa degli innamorati: dalle tradizioni, alle cose più belle da fare, passando per la decorazione della casa.

La Festa degli Innamorati è una delle ricorrenze più belle dell’anno, in quanto si celebra l’amore e la relazione con la propria metà. Ma quando è San Valentino? Come ogni anno la data è fissa e cade nel giorno in cui si festeggia il celebre santo. Il 14 febbraio è quindi la data da segnare sul calendario per tutti coloro che vogliono passare una giornata speciale in coppia. Scopri, quindi, tutto quello che c’è in programma e le idee per rendere memorabile la celebrazione.

  1. Quando capita il giorno di San Valentino nel 2025?
  2. Cosa si fa il giorno di San Valentino?
  3. San Valentino in casa: le migliori decorazioni
  4. San Valentino tra storia e leggenda
  5. Come si festeggia San Valentino nel mondo

Quando capita il giorno di San Valentino nel 2025?

Nel 2025, San Valentino cadrà di venerdì 14 febbraio. Molto apprezzata la coincidenza con l’inizio del weekend: si tratta dell’opportunità perfetta per le coppie di poter organizzare una sera speciale senza preoccuparsi del lavoro l’indomani. Inoltre, molti potrebbero approfittare di questa situazione per pianificare una breve fuga romantica o un’esperienza speciale.

Anche nei prossimi anni, quindi, San Valentino cadrà in concomitanza del weekend. Per il 2026 questa celebrazione sarà di sabato, mentre per il 2027, San Valentino si festeggerà di domenica.

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Cosa si fa il giorno di San Valentino?

Le idee per passare un giorno di San Valentino memorabile sono molteplici. Potrai sia partecipare a uno degli eventi organizzati nella tua città, sia prevedere una breve vacanza per staccare dalla routine, o ancora, organizzare una bellissima cena romantica a casa.

Per esempio, tra le cose da fare a San Valentino a Roma, ci sono numerosi eventi speciali a tema organizzati nei musei, o, in alternativa, potrai decidere di visitare uno dei borghi immediatamente fuori città, dove godere dell’atmosfera antica e medievale.

Passando alle cose da fare a San Valentino a Milano, invece, potrai optare per una cena romantica, una notte al Planetario cittadino o, se il tempo lo consente, una bellissima gita in bicicletta lungo la Martesana. 

San Valentino è anche la festa delle piccole “follie”. Perché, infatti, non mollare tutto e fare un viaggetto nel weekend? In tal caso, potesti cercare un last minute per le destinazioni europee dove passare San Valentino. Non solo le capitali europee, ma anche le bellissime Siviglia in Spagna, Bordeaux in Francia, Ginevra in Svizzera e Madeira in Portogallo, per un assaggio di primavera.

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San Valentino in casa: le migliori decorazioni

Celebrare San Valentino a casa può essere altrettanto romantico e speciale quanto uscire. Decorare l’ambiente domestico può creare un’atmosfera intima e festosa, ideale per una cena a lume di candela. Potrai optare per decorazioni fai da te, con carta, tessuti e nastri. Ma anche i fiori sono un grande classico, così come i cioccolatini e i palloncini colorati. Parlando proprio di colore, poi, quale scegliere? L’ideale sarebbe puntare sui classici colori rosso e rosa, che rappresentano passione e tenerezza.

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San Valentino tra storia e leggenda

Ma come mai la storia di San Valentino è diventata il simbolo dell’amore e degli innamorati? Storicamente, San Valentino era un sacerdote cristiano vissuto nel III secolo d.C. a Roma. Secondo la tradizione, egli celebrava matrimoni in segreto per i soldati, nonostante l’imperatore Claudio II avesse vietato loro di sposarsi, credendo che i legami familiari li rendessero meno efficaci in battaglia. Per questo atto di disobbedienza, Valentino fu imprigionato e successivamente martirizzato il 14 febbraio 269 d.C.

In realtà la festa di San Valentino prende spunto anche dalla festa pagana dei Lupercalia, ovvero riti romani che anticamente erano dedicati alla fertilità. La scelta del 14 febbraio fu fondamentale anche per cristianizzare l’usanza pagana.

Come si festeggia San Valentino nel mondo

San Valentino non è una festa solo limitata all’Italia, ma è celebrata in tutto il mondo con usanze diverse e particolari. Per esempio, nel mondo anglosassone è tradizione scambiarsi bigliettini anonimi d’amore, chiamati “Valentines”. L’usanza risale probabilmente a Carlo d’Orleans che, quando era in prigione, inviava biglietti romantici alla moglie. 

Cambiando totalmente zona del mondo, in Giappone, in genere, è usanza che siano le donne a regalare dolci agli uomini, ci sono dei dolci apprezzatissimi che vanno a ruba in questa giornata. In altre nazioni, come la Finlandia, l’Estonia e gli Stati Uniti, la ricorrenza non è necessariamente romantica: spesso vengono dedicati pensieri e bigliettini anche agli amici.

Senza considerare, poi, che la festa degli innamorati in alcune parti del mondo si tiene anche in altre date: per esempio in Brasile, il Dia dos Namorados cade il 12 giugno, in onore a Sant’Antonio, protettore dei matrimoni.

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Fonte: Idealista.it

Il 2024 del mercato immobiliare nel report annuale di idealista/data

I dati del portale idealista che fotografano l’andamento del real estate in Italia con le prospettive per l’anno in corso

Un anno di transizione dopo gli shock economici causati dalla pandemia, la guerra in Ucraina, l’inflazione record e l’aumento dei tassi. È questa la fotografia del 2024 nel report annuale di idealista/data sul mercato residenziale, ora disponibile online. L’analisi esamina l’evoluzione dell’offerta, della domanda e dei prezzi degli immobili, sia in vendita che in affitto, con un focus sul contesto nazionale, provinciale e dei capoluoghi di provincia. I dati dell’anno appena trascorso delineano prospettive ottimistiche che alimentano la fiducia anche per il 2025. Ecco le principali evidenze emerse.

  1. Volumi di compravendite stabili 
  2. Fiducia per affitti e vendite nel 2025
  3. I principali trend del 2024 nel report di idealista

Volumi di compravendite stabili 

L’andamento delle compravendite nel 2024 riflette la resilienza del mercato immobiliare, con circa 500.000 transazioni registrate fino al terzo trimestre (dati OMI). Si prevede che l’anno si chiuda con circa 700.000 compravendite, mantenendo i livelli dell’anno precedente, accompagnato da un aumento dei prezzi di vendita del 2,2%.

“Grazie anche alla politica monetaria della Banca Centrale Europea, il 2025 si apre con segnali di fiducia”, commenta Vincenzo de Tommaso, responsabile dell’Ufficio Studi di idealista“Il settore ha mostrato una buona tenuta nonostante le tante incognite economiche degli anni passati, e si sono registrati segnali positivi da alcuni indicatori, tra cui l’inflazione tornata sotto controllo nel 2024 e la riduzione dei tassi di interesse sui mutui. 

Questo calo potrebbe stimolare la domanda di case da acquistare, offrendo alle famiglie maggiori opportunità di accesso al credito”.

Fiducia per affitti e vendite nel 2025

Il taglio dei tassi rimette molte famiglie in condizione di accedere al mutuo per l’acquisto della casa, lo dimostra anche l’incremento dell’indice della domanda cresciuta del 40% rispetto all’anno scorso. Questo potrebbe preludere a una crescita dei volumi di vendita nel corso del 2025, se le tendenze macroeconomiche dovessero essere confermate. 

L’acquisto di casa da parte di famiglie che vivono in locazione sblocca lo stock nel mercato delle locazioni attenuando la pressione della domanda, che negli ultimi anni aveva determinato la crescita vertiginosa dei prezzi. 

Il mercato di vendita e quello dell’affitto sono due vasi comunicanti, – sottolinea de Tommaso. – Entrambi i settori si erano inceppati a causa dell’aumento dei tassi e della crescita dei canoni di affitto, dovuti alla contrazione dell’offerta post-Covid. Questo effetto a “tenaglia” aveva bloccato la normale rotazione del prodotto sul mercato, con gli inquilini che, a causa dei prezzi elevati, avevano preferito prolungare il soggiorno nell’abitazione locata in attesa di condizioni migliori per acquistare. Il taglio dei tassi di interesse operato dalla BCE a partire dall’estate ha ridato slancio al la domanda nel mercato delle compravendite. 

Ciò ha comportato un allentamento della pressione sul segmento delle locazioni e, come conseguenza, un aumento dello stock in offerta e un rallentamento della crescita dei canoni”.

I principali trend del 2024 nel report di idealista

idealista ha analizzato i dati di compravendite e affitti nel 2024 alla luce del contesto macroeconomico a partire dai parametri raccolti attraverso gli annunci del portale immobiliare. Ecco le principali evidenze emerse.

Contesto socioeconomico 

All’inizio del 2024, la popolazione italiana rilevata dall’ISTAT ammonta a 58.971.230 abitanti, segnando un lieve calo dello 0,04% rispetto allo stesso periodo del 2023. La diminuzione interessa in particolare molte province del Centro-Sud e delle Isole, mentre le province della Lombardia, dell’Emilia-Romagna e del Trentino-Alto Adige registrano un incremento demografico. Milano continua la sua crescita sostenuta, segnando la maggiore variazione positiva tra i capoluoghi di provincia (1,0%).

Nel 2023, il PIL pro capite ha registrato un incremento del 6,6% rispetto all’anno precedente. Il tasso di disoccupazione ha continuato la sua discesa, attestandosi al 7,7%, confermando così il trend positivo iniziato nel 2015. Il livello di disoccupazione rimane particolarmente basso nelle province del Centro-Nord, mentre aumenta progressivamente spostandosi verso il Sud del Paese.

Nella seconda metà del 2024, la Banca Centrale Europea ha avviato un graduale taglio dei tassi di interesse, favorito dal rallentamento dell’inflazione. Questo potrebbe incentivare una ripresa del mercato immobiliare, stimolando la domanda, soprattutto per coloro che intendono accedere a mutui con condizioni più vantaggiose. La riduzione dei tassi ha contribuito a una diminuzione del tasso di sforzo per i mutui, passato dal 21% al 18% nel corso dell’anno. Tuttavia, le famiglie che vivono in affitto continuano a sostenere un peso crescente, con lo sforzo salariale che a dicembre 2024 ha raggiunto il 30%.

Compravendite

A dicembre 2024, la domanda di acquisto di abitazioni a livello nazionale si è attestata a 1,4 punti, evidenziando una crescita significativa rispetto all’anno precedente. In occasione del Giubileo, Roma è diventata la città più richiesta tra i capoluoghi di provincia, raggiungendo i 4,2 punti. Il mercato immobiliare italiano continua ad attrarre investitori esteri, con l’11,9% delle visualizzazioni provenienti dagli Stati Uniti. 

Nel 2023, le compravendite registrate dall’Agenzia delle Entrate hanno subito un calo del 9,7% rispetto al record del 2022, a causa dell’aumento dei tassi di interesse. Nei primi tre trimestri del 2024, i volumi si sono mantenuti sugli stessi livelli del 2023, in attesa dei dati del quarto trimestre, che potrebbero segnalare una ripresa, grazie ai recenti tagli dei tassi.

I prezzi unitari

I prezzi delle abitazioni sono in aumento: il valore medio nazionale ha raggiunto i 1.880 euro/m2 a fine 2024, segnando una crescita annua del 2,2%. L’offerta di immobili in vendita è leggermente diminuita rispetto all’anno precedente, rappresentando il 2,5% dello stock catastale residenziale (contro il 2,6% di dicembre 2023). Milano si conferma la città con il prezzo più alto al metro quadro, superando i 5.000 €/mq, seguita da Bolzano, Venezia, Firenze e Bologna, che mantengono le posizioni del 2023.

Il segmento delle locazioni

Il mercato delle locazioni sembra aver raggiunto un punto di stabilizzazione dopo la crescita iniziata a metà 2021. A dicembre 2024, la domanda di affitti a livello nazionale si è attestata a 12,3 punti, registrando un calo dell’8% rispetto all’anno precedente. Anche in questo settore l’interesse degli investitori internazionali è elevato, con il 9,9% delle visualizzazioni provenienti dagli Stati Uniti.

Canoni di locazione

I canoni di locazione continuano a salire: a fine 2024, il costo medio nazionale ha raggiunto 13,9 €/mq/mese (circa 167 €/mq/anno), con un incremento dell’11% rispetto al 2023. L’offerta di immobili in affitto è rimasta stabile, rappresentando lo 0,21% dello stock catastale complessivo. Inoltre, il 26% delle abitazioni in affitto è destinato a contratti di locazione transitoria.

Rendimenti lordi 

Il rendimento lordo del settore residenziale ha continuato a crescere, raggiungendo l’8,8% a dicembre 2024. Questo aumento è dovuto al fatto che i canoni di locazione stanno crescendo a un ritmo superiore rispetto ai prezzi degli immobili, anche a causa della scarsità dell’offerta.

Nuove costruzioni

Roma e Milano si confermano le città con il maggior numero di nuove costruzioni residenziali, mentre nel Sud del Paese l’attività edilizia rimane limitata. Il costo medio degli immobili di nuova costruzione in Italia si attesta a 3.060 €/mq.

Fonte: Idealista.it

Agevolazioni prima casa e acquisto nuda proprietà, quando è possibile

Come spiegato dal Fisco, è necessario fare attenzione ai requisiti da possedere per poter ottenere il beneficio fiscale

Si può beneficiare delle agevolazioni prima casa per l’acquisto di una nuda proprietà? In tal caso, ci sono condizioni da rispettare? Sul punto ha fatto chiarezza il Fisco, rispondendo a un quesito presentato da un contribuente. Si ricorda che il beneficio fiscale, se il venditore è un privato o un’impresa che vende in esenzione Iva, consente di versare un’imposta di registro proporzionale nella misura del 2%, un’imposta ipotecaria fissa di 50 euro e un’imposta catastale fissa di 50 euro; nel caso in cui invece si acquisti da un’impresa con vendita soggetta a Iva, permette di versare l’Iva ridotta al 4%, un’imposta di registro fissa di 200 euro, un’imposta ipotecaria fissa di 200 euro e un’imposta catastale fissa di 200 euro. 

Fisco Oggi, la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, è stato domandato: “Dovrei acquistare una nuda proprietà nello stesso comune in cui sono residente con la mia famiglia. La nuda proprietà, si trova però presso un altro indirizzo. Vorrei intestarla a me come prima casa. Per fare ciò, devo cambiare la mia residenza trasferendola presso la nuda proprietà in questione? O è già sufficiente che l’immobile si trovi nello stesso comune?”. 

Per poter rispondere a questa domanda è necessario sottolineare in quali casi è possibile beneficiare delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa. Ecco, in merito, quanto è indicato dall’Agenzia delle Entrate: 

  • il fabbricato che si acquista deve appartenere a determinate categorie catastali: A/2 (abitazioni di tipo civile); A/3 (abitazioni di tipo economico); A/4 (abitazioni di tipo popolare); A/5 (abitazioni di tipo ultra popolare); A/6 (abitazioni di tipo rurale); A/7 (abitazioni in villini); A/11 (abitazioni e alloggi tipici dei luoghi). Le agevolazioni prima casa non sono ammesse per l’acquisto di un’abitazione appartenente alle categorie catastali A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici); 
  • il fabbricato si deve trovare nel Comune in cui l’acquirente ha (o intende stabilire entro 18 mesi dall’acquisto) la residenza o lavora; 
  • l’acquirente deve rispettare determinati requisiti: nell’atto di acquisto, deve dichiarare di non essere titolare, nemmeno in comunione con il coniuge, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare; sempre nell’atto di acquisto, deve dichiarare di non essere titolare, neppure per quote o in regime di comunione legale, su tutto il territorio nazionale, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altro immobile acquistato, anche dal coniuge, usufruendo delle stesse agevolazioni prima casa. In caso contrario, è necessario vendere l’immobile posseduto entro un anno dalla data del nuovo acquisto. 

In considerazione di ciò, nel caso in esame, per poter beneficiare delle agevolazioni prima casa per l’acquisto di una nuda proprietà l’istante deve possedere tutti i requisiti necessari.

Fonte: Idealista.it

Se la banca non concede il mutuo, devo pagare l’agenzia?

Se la banca non concede il mutuo, la provvigione dell’agenzia è dovuta in assenza di clausole sospensive nel compromesso.

Se la banca non concede il mutuo, devo pagare l’agenzia? Non si può dire che questa non sia una preoccupazione comune, fra coloro che si apprestano a richiedere un finanziamento per l’acquisto di un immobile. La questione non è di semplice risoluzione, poiché molto dipende dagli accordi presi in fase di negoziazione della compravendita, come ad esempio la previsione di una clausola sospensiva vincolata al mutuo. Naturalmente, per ridurre la probabilità di trovarsi di fronte a una mancata erogazione del finanziamento, è utile utilizzare strumenti online per trovare il mutuo migliore per le proprie esigenze.

  1. Cosa succede se la banca non concede il mutuo
  2. Cosa si deve pagare in caso di rifiuto del mutuo

Cosa succede se la banca non concede il mutuo

Può di certo capitare che, dopo aver avanzato richiesta per un finanziamento immobiliare, la banca non conceda il mutuo. L’istituto di credito valuta infatti il rischio dell’operazione, ovvero la probabilità che il richiedente non provveda a saldare il debito contratto, e può liberamente decidere di non procedere all’erogazione. 

Le ragioni possono essere le più svariate: una situazione economica non sufficientemente solida, un Loan To Value troppo elevato, un immobile non conforme rispetto alla normativa vigente. Per una lista più esaustiva di tutte le possibili motivazioni, è utile approfittare di una guida passo per passo al mutuo. Inoltre, è necessario sapere che l’eventuale bocciatura può avvenire in fasi diverse del processo di valutazione della domanda. Ad esempio:

  • per il mutuo rifiutato dopo l’istruttoria o la perizia sull’immobile, solitamente le ragioni sono legate alla scarsa solidità economica e reddituale del richiedente, alle condizioni non consone dell’immobile oppure a un Loan To Value sproporzionato;
  • per il mutuo rifiutato dopo la delibera, le motivazioni sono connesse a una mutata condizione reddituale e finanziaria del richiedente, emersa successivamente alle precedenti valutazioni del rischio;
  • per il mutuo non concesso dopo il rogito, invece, si verifica una condizione in cui la richiesta di finanziamento non è simultanea alla compravendita. Di conseguenza, il richiedente conclude la trattativa prima di aver certezza dell’erogazione del mutuo, scontrandosi poi con il diniego dell’istituto di credito.
Mutuo, provvigione dell'agente immobiliare

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Ma cosa accade quando il mutuo viene negato? Cosa succede in relazione all’agenzia immobiliare e, fatto non meno importante, per gli eventuali anticipi o caparre versati al venditore?

Conseguenze del rifiuto: l’utilità della proposta d’acquisto vincolata al mutuo

Quando la banca rifiuta l’erogazione del mutuo, il richiedente può trovarsi a fronteggiare diverse conseguenze. Tra le principali, si elencano:

  • l’impossibilità di concludere la compravendita, con il rischio di perdere l’immobile;
  • la possibile perdita di anticipi o caparre versate al venditore;
  • la possibile necessità di corrispondere comunque la provvigione all’agenzia;
  • la segnalazione al CRIF, ovvero il sistema che tiene traccia delle informazioni creditizie, da parte della banca per il mancato accoglimento della proposta. Questo passaggio non implica necessariamente l’essere considerati dei cattivi pagatori, tuttavia potrebbe aumentare i tempi d’attesa per una nuova richiesta di mutuo;
  • il rischio di poter subire azioni legali dal venditore, affinché si provveda all’adempimento del contratto di compravendita o, ancora, per eventuali risarcimenti.

Ma è possibile evitare, in tutto o in parte, simili conseguenze negative? In linea generale, è sempre consigliabile sottoscrivere con il venditore una proposta d’acquisto vincolata al mutuo: tramite questa clausola, inserita nel compromesso di compravendita, si specifica che l’affare verrà effettivamente concluso solo se l’istituto di credito approverà il finanziamento.

Come è facile intuire, la proposta vincolata al mutuo ha dei pro e dei contro: da un lato, protegge l’acquirente dagli obblighi della compravendita e permette di recuperare la caparra. Dall’altro, può determinare un minore interesse da parte del venditore, che potrebbe rilevare nella clausola sospensiva un elemento di incertezza per la conclusione dell’affare.

Tuttavia, accettare un minor appeal della compravendita è di gran lunga auspicabile rispetto ai rischi di una proposta non vincolata al mutuo, che può mettere il compratore in una situazione davvero difficile, sia nei confronti del venditore che dell’agenzia.

Cosa si deve pagare in caso di rifiuto del mutuo

Definiti i motivi principali del rifiuto di un finanziamento, e le possibili conseguenze, sorge spontanea una domanda: cosa si dovrà effettivamente pagare, in caso di rifiuto del mutuo? Molto dipende dall’eventuale presenza della già vista clausola sospensiva, ovvero di una proposta vincolata all’effettiva erogazione del finanziamento.

Quando non pagare la provvigione all’agenzia immobiliare?

Il primo e lecito dubbio che sorge, dopo la bocciatura di una richiesta di mutuo, è come procedere nei confronti dell’agenzia immobiliare. In altre parole, se la banca non concede il mutuo, bisogna pagare l’agenzia?

In base all’articolo 1755 del Codice Civile, il mediatore – quindi l’agenzia oppure il singolo agente immobiliare – ha diritto alla provvigione quando l’affare è concluso per effetto del suo intervento. Di conseguenza, se l’acquirente e il venditore si incontrano grazie all’attività del professionista, e giungono a un accordo, il compenso dovrà essere conferito. È infatti necessario sapere che:

  • il compenso dell’agenzia non è dovuto alla compravendita, deriva dall’aver messo in contatto le parti;
  • affinché si possa esigere la provvigione, è necessario che vi sia un atto giuridicamente vincolante tra acquirente e venditore, ad esempio il preliminare o il compromesso di compravendita.
Erogazione del mutuo e provvigione dell'agenzia immobiliare

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Di conseguenza, se la banca rifiuta il mutuo a seguito del preliminare o del compromesso stretto tra acquirente e venditore, il compenso dell’agenzia dovrà essere comunque pagato. Ma è possibile non versare nulla all’agenzia, se non si riesce a ottenere il finanziamento? Dipende se sia stata sottoscritta la già evidenziata proposta d’acquisto vincolata al mutuo. Se inserita nel preliminare o nel compromesso di compravendita:

  • l’affare non si considera più concluso al momento dell’accettazione della proposta;
  • l’effettiva chiusura dell’affare è vincolata all’erogazione del finanziamento, data l’accettazione della clausola da entrambe le parti.

Sulla questione è intervenuta varie volte la giurisprudenza. Ad esempio la Corte di Cassazione, con la sentenza 20192/2019, ha stabilito che in presenza di una clausola sospensiva vincolata all’ottenimento del mutuo, il diritto alla provvigione si realizza solo all’avveramento di questa condizione, ovvero all’effettiva erogazione del finanziamento. Sempre la Cassazione, con l’ordinanza 18953/2024, ha ribadito che in presenza di clausola sospensiva, non basta la semplice pre-delibera per ottenere la provvigione, ma serve che l’importo sia effettivamente erogato dall’istituto di credito.

Cosa succede se il mutuo non viene concesso, si perde la caparra?

Discorso decisamente simile, quello relativo a versamenti in anticipo rispetto alla finalizzazione della compravendita. Ad esempio, se la banca non concede il mutuo, perdo la caparra?

Anche in questo caso, dipende se la proposta d’acquisto ha visto l’introduzione di una clausola sospensiva, vincolata all’ottenimento del finanziamento. Infatti:

  • in assenza della clausola, l’acquirente è tenuto a rispettare i propri impegni contrattuali. Di conseguenza, il venditore potrebbe rifiutare la restituzione della caparra, a titolo di risarcimento per l’inadempienza agli accordi di compravendita;
  • in presenza della clausola, la mancata erogazione del mutuo comporta la risoluzione automatica del contratto di compravendita. L’acquirente, per questa ragione, ha diritto alla restituzione della caparra.

Naturalmente, le parti hanno anche facoltà di accordarsi differentemente, purché ve ne sia testimonianza scritta. Ad esempio, acquirente e venditore potrebbero decidere di attendere una successiva valutazione del finanziamento. Ma in caso di un mutuo rifiutato, dopo quanto tempo si può riprovare? Non esistono tempistiche fisse, in linea generale è utile attendere tra i 30 e i 60 giorni, per permettere a tutti i sistemi informatici creditizi di aggiornarsi, così da ridurre la possibilità di ottenere nuovi rifiuti in base alle informazioni del CRIF. In ogni caso, è sempre consigliato vagliare il parere del proprio consulente bancario o finanziario di fiducia.

Fonte: Idealista.it

Bonus con ISEE inferiore a 35.000 euro: ecco quelli per il 2025

Hai un ISEE più basso di 35.000 euro? Ecco l’elenco dei bonus e delle agevolazioni per famiglie, studenti e lavoratori

Anche la legge di bilancio 2025 ha previsto una serie di bonus e agevolazioni pensati per sostenere famiglie, studenti, lavoratori e pensionati. Tante sono le opportunità offerte per alleggerire le spese quotidiane e per avere un aiuto concreto per l’acquisto di beni essenziali, ma anche per la formazione, il lavoro e il benessere personale. 

Per tutti vale la discriminante chiave della situazione economica del nucleo familiare: un ruolo cruciale è giocato dall’ISEE, che in base al suo valore diventa la chiave di accesso per i vari bonus. Ecco quali sono i bonus attivi per il 2025 con un ISEE inferiore a 35.000 euro

  1. Quali bonus con ISEE sotto i 35.000 euro?
  2. Quanto deve essere l’ISEE per avere agevolazioni 2025?

Quali bonus con ISEE sotto i 35.000 euro?

Tanto più basso è l’ISEE, maggiore è il numero di agevolazioni da poter richiedere, visto che l’obiettivo dei bonus è di offrire un supporto principalmente a quanti versano in condizioni economiche meno agiate. 

L’accesso a ogni aiuto è regolato da determinati limiti ISEE: ecco una carrellata di bonus che può richiedere chi ha un ISEE inferiore a 35.000 euro. 

Assegno unico

L’assegno unico universale per i figli a carico è pensato per le famiglie con figli a carico fino all’età di 21 anni e può essere richiesto anche senza la presentazione dell’ISEE, ma in tal caso si riceve l’importo minimo di 57,50 euro. 

Con un ISEE inferiore a 35.000 euro si parte da un assegno mensile di 112 euro, che aumenta gradualmente fino a un massimo di 201 euro per quanti hanno un ISEE fino a 17.227,33 euro. Gli importi sono ridotti per i figli maggiorenni, mentre questa distinzione sull’età non è valida in caso di prole con disabilità. 

Asilo nido

Per le famiglie con figli di età inferiore a 3 anni c’è un’altra misura e si tratta del bonus asilo nido, finalizzato a rimborsare le spese di iscrizione agli asili nido pubblici e a quelli privati autorizzati. 

Le risorse si possono utilizzare anche per pagare l’assistenza domiciliare dei bambini fino ai 3 anni con gravi patologie. Chi ha un’ISEE fino a 25.000 euro potrà avere 3.000 euro all’anno, mentre si scende a 2.500 euro per le famiglie con un ISEE compreso tra 25.001 e 40.000 euro. 

calcolatrice

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Bonus cultura

Dall’asilo nido passiamo a una misura messa a punto per chi è diventato maggiorenne, visto che la carta della cultura giovani è riconosciuta a chi ha compiuto 18 anni e ha un ISEE inferiore a 35.000 euro. 

La carta, del valore di 500 euro, si può richiedere dal 31 gennaio al 30 giugno 2025, e può essere spesa per l’acquisto di libri, biglietti per il cinema e il teatro, per concerti e corsi di lunga straniera, ma anche per abbonamenti a quotidiani e periodici in formato sia cartaceo che digitale. 

Carta acquisti

Questo bonus prevede il riconoscimento di 80 euro su base bimestrale, quindi 40 euro al mese, da utilizzare per la spesa alimentare e sanitaria, ma anche per il pagamento delle bollette di luce e gas. 

La carta acquisti è riconosciuta ai cittadini di età uguale o superiore a 65 anni e ai bambini di età inferiore ai 3 anni, con un valore massimo di ISEE pari a 8.117,17 euro. 

Carta dedicata a te

Chi ha un’ISEE inferiore a 15.000 euro e fa parte di una famiglia con almeno tre componenti, potrà ricevere la carta dedicata a te

Si tratta di un contributo una tantum di 500 euro, da utilizzare per l’acquisto di beni di prima necessità nei negozi abilitati al circuito Mastercard. 

Bonus bollette

La manovra di bilancio 2025 ha prorogato anche il bonus sociale luce e gas e il bonus sociale idrico, grazie ai quali è possibile ricevere un importo annuo variabile sulle utente domestiche, con particolare riferimento a quelle di energia elettrica, gas e acqua. 

Per l’accesso al bonus è necessario avere un ISEE inferiore a 9.530 euro, ma questo limite sale fino a 20.000 euro in caso di nucleo familiare con almeno 4 figli a carico. Per la luce è previsto un bonus tra 168 e 241 euro annui e per il gas tra 59-92 e 67-94 euro a seconda del numero di componenti del nucleo familiare. 

Assegno di inclusione

Dall’1 gennaio 2024 l’assegno di inclusione ha preso il posto del reddito di cittadinanza ed è riconosciuto a chi ha un ISEE non superiore a 10.140 euro, con un valore del reddito familiare inferiore a 6.500 euro annui, che può salire a 8.190 euro per il nucleo familiare composto da persone di età superiore a 67 anni, e a 10.140 euro se la famiglia risiede in una casa in locazione. 

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Supporto per la formazione e il lavoro

Questa misura di attivazione nel mondo del lavoro delle persone a rischio di esclusione sociale e lavorativa, prevede il riconoscimento di 500 euro mensili per un anno, prorogabili per altri 12 mesi, a chi ha un’età compresa tra 18 e 59 anni. 

Tali soggetti devono essere “occupabili, avere un ISEE inferiore a 10.140 euro e un valore del reddito familiare al di sotto di 10.140 euro annui, moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza ai fini ISEE”, oltre a dover rispettare altri requisiti sul fronte del patrimonio mobiliare e immobiliare. 

Bonus psicologo

Il contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia è stato rifinanziato anche per il 2025. 

Il bonus psicologo permette di avere fino a un massimo di 1.500 euro per chi ha un ISEE inferiore a 15.000 euro, ma si passa a un limite di 1.000 euro per un ISEE tra 15.000 e 30.000 euro e a 500 euro per un ISEE tra 30.001 e 50.000 euro. 

Quanto deve essere l’ISEE per avere agevolazioni 2025?

Come abbiamo visto fino a ora, diverse sono le misure di sostegno a disposizione anche per il 2025. L’aspetto più interessante è che non necessariamente l’ISEE deve essere basso, visto che anche in presenza di soglie più o meno elevate si ha la possibilità di attingere a vari bonus. 

Inutile dire che chi ha un ISEE più contenuto potrà contare su agevolazioni più consistenti e di conseguenza l’ammontare di queste ultime si ridurrà parallelamente all’aumentare dell’ISEE. 

Per avere agevolazioni nel 2025 si può arrivare in alcuni casi anche a un ISEE fino a 50.000 euro, mentre la soglia più bassa, pari a 8.117,17 euro, è quella richiesta come limite da non superare per avere la carta acquisti.

Fonte: Idealista.it

Di Girolamo, Fedreghetti: “Imu e ristrutturazione, ecco quando si può chiedere una riduzione dell’imposta”

Una sentenza della Corte di Giustizia Tributaria del Lazio dà torto al Comune di Roma sul calcolo dell’Imu per un fabbricato da ristrutturare

Con la legge di Bilancio 2024 entrano in vigore nuovi obblighi di comunicazione della variazione della rendita catastale di un immobile a seguito di interventi di ristrutturazione suffragati dal Superbonus, ai fini del calcolo dell’Imu. La sentenza 550/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio (Sezione 7), pronunciata contro il Comune di Roma, potrebbe però gettare una luce diversa sulla questione, aprendo nuovi possibili scenari. La sentenza ha infatti stabilito che, a determinate condizioni previste dalla legge, l’Imu vada pagata non sulla base del valore catastale dell’immobile oggetto di ristrutturazione, ma sul solo valore venale del terreno edificabile su cui l’immobile si trova. Ci spiegano nel dettaglio la questione il commercialista Dott. Silverio Di Girolamo e l’Avv. Cristian Fedreghetti, che hanno assistito Roma Trevi Spa contro Roma Capitale.

  1. Imu e ristrutturazioni nella legge di Bilancio 2024
  2. Rendita catastale e valore venale: norme per il calcolo dell’Imu
  3. Il contenzioso tra Comune di Roma e Roma Trevi Spa
  4. Imu e ristrutturazioni, le sentenze contro il Comune di Roma
  5. Imu e ristrutturazione, perché è importante la sentenza di Roma
  6. Possibile riduzione dell’Imu per le ristrutturazioni residenziali

Imu e ristrutturazioni nella legge di Bilancio 2024

Nell’ultima legge di Bilancio il Governo ha stabilito l’obbligo, per chi ristruttura un immobile, di aggiornare il valore catastale dopo i valori che ne hanno variato lo stato, ai fini del ricalcolo dell’Imu. Una norma che, sebbene in qualche modo vigente già da oltre vent’anni, mira ad una maggiore stabilità delle casse delle amministrazioni ed è stata aggiornata alla luce dei profondi interventi avvenuti con l’ausilio del Superbonus 110, per i quali vengono ora spinti i controlli tributari. La sentenza 550/2025 della CGT del Lazio di cui ci occupiamo qui non è direttamente collegata ai controlli post-Superbonus, ma 

potrebbe in effetti avere dei riflessi sugli obblighi di aggiornamento dei valori catastali e sui conseguenti versamenti dei tributi comunali, 

sia per quegli immobili oggetto di intervento di ristrutturazione conseguente al Superbonus, sia conseguente a qualsiasi altro tipo di situazione e incentivo.

Rendita catastale e valore venale: norme per il calcolo dell’Imu

Cardine del calcolo dei tributi locali e oggetto di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate post Superbonus ma non solo è il valore della rendita catastale di un immobile, e della sua eventuale variazione dopo un lavoro di ristrutturazione. La Legge di Bilancio 2024 ha previsto in particolare che l’AdE possa verificare che il contribuente abbia correttamente presentato una dichiarazione di variazione catastale quando i lavori di hanno apportato modifiche strutturali o funzionali agli immobili in oggetto. L’articolo 1 al comma 86 stabilisce in particolare il controllo legato agli interventi di ristrutturazione assistiti dal Superbonus 110; si tratta in ogni caso di un miglioramento della rendita catastale legata al modo in cui l’immobile in oggetto è appunto registrato al catasto comunale, e alla sua categoria di appartenenza. 

Il valore venale è invece il calcolo del potenziale prezzo di vendita di quell’immobile calcolato secondo parametri quanto più possibile oggettivi e oggetto di perizia. 

Il contenzioso tra Comune di Roma e Roma Trevi Spa

Nella causa in questione, un immobile sottoposto a intervento di recupero strutturale importante ha versato al Comune di Roma l’Imu conteggiata sulla base del valore venale del solo terreno su cui si trova l’immobile stesso. 

Il motivo per cui non ha versato un’Imu basata sul valore catastale è che gli interventi di ristrutturazione appartengono alle tipologie individuate dall’articolo 3, comma 1, lettere c), d) e f), del D.P.R. 380/2001

che stabilisce appunto per quali interventi di ristrutturazione si possa applicare questo tipo di calcolo dell’imposta.

Ciononostante, il Comune di Roma ha emesso degli avvisi di accertamento sul pagamento dell’Imu, chiedendo che questa fosse invece versata sulla base del valore catastale dell’immobile pre-lavori. Roma Trevi Spa si è opposta a tale richiesta in tribunale, con l’assistenza di Di Girolamo Consulting e Studio Leone Fedreghetti.

Imu e ristrutturazioni, le sentenze contro il Comune di Roma

“Nonostante gli interventi di ristrutturazione dell’immobile in questione ricadessero nella casistica stabilita dalla legge, il Comune di Roma si è appellata contro la sentenza di primo grado, che ha dato ragione al contribuente, affermando che l’ufficio tributi non abbia ricevuto l’apposito modulo con la comunicazione del valore catastale dell’immobile (il modulo Docfa) ai fini del calcolo Imu, e che per questo motivo l’imposta debba essere calcolata sulla base del valore catastale dell’immobile, – spiega il dott. Silverio Di Girolamo, commercialista dello studio che ha seguito Roma Trevi Spa. – Tuttavia la richiesta dell’amministrazione non è stata accolta dalla CGT in quanto le comunicazioni dei lavori di ristrutturazione erano assolutamente note e mai contestate dal Comune, che quindi si è dimostrato perfettamente a conoscenza del fatto che i lavori in questione ricadessero nel caso di legge che permette di pagare un’Imu basato sul calcolo del valore venale del solo terreno edificabile.

Per di più, non esiste nessun obbligo normativo in capo al contribuente che lo vincoli a produrre una Docfa nel momento in cui la tipologia di lavori sia già stata correttamente comunicata, come è il caso. 

Quindi le motivazioni dell’appello si sono rivelate quanto meno deboli, se non fantasiose”.

“La richiesta di Docfa da parte del Comune non aveva ragione di essere in questo caso specifico, – aggiunge l’avvocato Cristian Fedreghetti, – in quanto era perfettamente noto che il fabbricato, un immobile commerciale importante da riconvertire ad uso alberghiero, fosse oggetto di interventi che ricadevano nelle casistiche individuate dal D.P.R.380/2001 art 3 comma 1 lettere c), d) ed f). 

Si tratta di interventi che, appunto, consentono di chiedere una riduzione dell’Imu da un calcolo basato sul valore catastale dell’immobile a un calcolo basato sul solo terreno edificabile, e in questo caso si trattava di una differenza da diverse centinaia di migliaia di euro. 

Il Comune ha quindi tentato di avanzare una pretesa in questo senso, portando a sostegno delle casistiche in cui il riaccatastamento degli immobili sotto la categoria F (quella degli immobili in fase di riqualificazione) è stata necessaria. Ma si trattava di casi diversi dal nostro, in particolare che chiedevano esenzioni dall’Imu. Nel nostro caso, invece, non è mai stata chiesta una esenzione, ma soltanto una giusta applicazione della legge e un calcolo corretto dell’imposta dovuta. E il Comune non ha potuto richiamare nessuna norma primaria che obbligasse il contribuente alla compilazione della Docfa, ragione per cui la sentenza è stata emessa a suo sfavore”.

Imu e ristrutturazione, perché è importante la sentenza di Roma

“Questa sentenza è importante in primo luogo perché è stato respinto un approccio dell’amministrazione che mette a carico del contribuente oneri non previsti dalla legge, quindi argina pretese tributarie non di diritto, – segnala il dott. Di Girolamo; – e poi perché riconosce che l’ente impositore deve calcolare correttamente i tributi alla luce delle informazioni di cui è a conoscenza, trasferendole in ambito tributario quando la legge lo consente senza ignorarle a fini tributari”.

In altre parole: ci sono casi, come il presente, in cui la differenza tra una modalità di calcolo dell’Imu e l’altra è importante e può avere un certo peso per le casse comunali, ma ciò non deve autorizzare l’amministrazione a interpretare la legge a modo proprio a svantaggio del contribuente, soprattutto quando questo adempie correttamente a tutti gli obblighi previsti dalla normativa.

“La sentenza è interessante sia per il fatto che fa prevalere ragioni di diritto e sostanziali a favore del contribuente, – aggiunge l’avv. Fedreghetti, – sia perché segnala un difetto di comunicazione tra uffici comunali, che può generare appigli per sollevare questioni formali, come quella della Docfa, che possono essere facilmente strumentalizzate. 

Oltretutto è essenziale rifarsi a dei valori quanto più possibile incontestabili quando si parla di parametri per il calcolo delle imposte. 

Non è raro che situazioni ambigue si creino anche in presenza di altri tipi di immobili anche più complessi, come gli opifici, e che il calcolo delle imposte dovute si complichi parecchio a svantaggio del contribuente”.

Possibile riduzione dell’Imu per le ristrutturazioni residenziali

La sentenza contro il Comune di Roma, come si diceva, potrebbe avere riflessi anche in materia di ristrutturazioni residenziali con Superbonus e non solo. Nell’ambito dei controlli avviati dall’Agenzia delle Entrate, ma in generale nello stabilire le imposte dovute durante il periodo dei lavori di recupero edilizio delle unità abitative, soprattutto se si parla di immobili importanti, occorrerà verificare che i lavori in questione non ricadano nella casistica individuata dal D.P.R. 380/2001, il che potrebbe generare notevoli risparmi per i contribuenti. 

“Tuttavia, paradossalmente, – precisa l’avv. Fedreghetti, – in caso di piccole abitazioni che sorgono su ampi terreni potrebbe anche avvenire l’opposto, ovvero che sia il valore venale del terreno edificabile ad essere superiore al valore catastale dell’immobile. Ad ogni modo, dal momento che nel caso di unità abitative tendenzialmente la differenza tra le due modalità di conteggio non crea enormi conseguenze sul gettito tributario, è anche meno probabile che i Comuni contestino la classificazione degli interventi di ristrutturazione. Ad ogni modo, onde evitare brutte sorprese, è sempre meglio munirsi di perizie tecniche di valutazione dei terreni e degli immobili, possibilmente rifacendosi a parametri quanto più possibile incontestabile, ad esempio ai parametri Omi”.

Fonte: Idealista.it

Variazione catastale per il superbonus, pronte le comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate

Cosa contengono gli avvisi

Le comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate relative alla variazione catastale per il superbonus sono pronte. Il loro contenuto e le modalità di invio sono state stabilite con un provvedimento del 7 febbraio 2025. Una volta ricevuti gli avvisi, i contribuenti che hanno beneficiato dell’agevolazione fiscale e che non hanno aggiornato le rendite degli immobili interessati dagli interventi potranno valutare la correttezza dei dati ed eventualmente regolarizzare la propria posizione. 

Variazione catastale dopo superbonus, cosa contengono le comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate 

Di queste comunicazioni ne aveva parlato il direttore uscente dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, nella relazione di fine anno, adesso è arrivato il momento dell’invio. Secondo quanto precisato dal provvedimento del 7 febbraio 2025, con tali comunicazioni l’Agenzia delle Entrate rende disponibili le informazioni per una valutazione in ordine alla correttezza dei dati in suo possesso, questo per consentire all’intestatario catastale di regolarizzare la propria posizione. 

Le informazioni rese disponibili ai contribuenti sono: 

  • codice fiscale, denominazione, cognome e nome del contribuente; 
  • identificativo catastale dell’immobile indicato dal contribuente nella comunicazione dell’opzione relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica ai sensi degli articoli 119 e 121 del decreto-legge n. 34 del 2020, come modificati dalla legge n. 234 del 2021; 
  • invito a fornire chiarimenti e idonea documentazione tramite il servizio “Consegna documenti e istanze” disponibile nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle Entrate, nel caso in cui il contribuente ravvisi inesattezze nei dati in possesso dell’Agenzia o intenda comunque fornire elementi in grado di giustificare la presunta anomalia. 

Comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate, dove trovarle 

La comunicazione viene inviata dall’Agenzia delle Entrate al domicilio digitale del contribuente o con raccomandata a/r. Ma è possibile trovare la stessa comunicazione anche nel proprio cassetto fiscale

Cosa dice la normativa sulla verifica dell’Agenzia delle Entrate 

L’art. 1, comma 86, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 stabilisce che “l’Agenzia delle Entrate, con riferimento alle unità immobiliari oggetto degli interventi di cui all’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, verifica, sulla base di specifiche liste selettive elaborate con l’utilizzo delle moderne tecnologie di interoperabilità e analisi delle banche dati, se sia stata presentata, ove prevista, la dichiarazione di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, del regolamento di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701, anche ai fini degli eventuali effetti sulla rendita dell’immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati”. 

Il successivo comma 87 precisa che “nei casi oggetto di verifica di cui al comma 86 per i quali non risulti presentata la dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate può inviare al contribuente apposita comunicazione ai sensi dell’articolo 1, commi da 634 a 636, della legge 23 dicembre 2014, n. 190”. 

L’articolo 1, comma 636, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, prevede che “con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate sono individuate le modalità con cui gli elementi e le informazioni di cui ai commi 634 e 635 sono messi a disposizione del contribuente e della Guardia di Finanza. Il provvedimento di cui al primo periodo indica, in particolare, le fonti informative, la tipologia di informazioni da fornire al contribuente e le modalità di comunicazione tra quest’ultimo e l’amministrazione, assicurate anche a distanza mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie, i livelli di assistenza e i rimedi per la rimozione delle eventuali omissioni e per la correzione degli eventuali errori commessi”.

Fonte: Idealista.it